OSPEDALE DA CAMPO N. 84/bis
Esimio Professore,
Le scrivo da parte del soldato Sigfrid von Nibelunghen, che qui è ricoverato da una ventina di giorni, ed è il mio vicino di letto.
Lui non può scrivere, in quanto per ragioni tecniche, nel senso che non ci ha più i bracci, e nemmeno le gambe (che queste non ci servono per scriverci, però glielo dico lo stesso) e nemmeno gli occhi, e questo è grave perché non ci vede più.
Non ci ha più nemmeno la faccia, perché al suo primo assalto appena uscito dalla trincea è saltato su una mina, e il buffo è che la mina era anche nostra, e che non si capisce perché non era al suo posto, ma però nel buco che ci hanno lasciato nell'ingessatura in faccia lui ci parla, e non sta mai zitto, che sembra una pentola di fagioli quando bolle, e ci vengono fuori dal buco anche le bollicine, e non lascia dormire nessuno, così io ci scrivo a Lei perché è questo che mi sembra che lui vuole, così forse dopo smette di fare le bollicine e ci lascia dormire.
Però non si capisce molto bene quello che lui vuole dirci a Lei per via dei barbaiocchi, che ci siamo tutti riuniti in corsia per decifrarci qualcosa, e io ci scrivo quello che ci abbiamo capito.
Dice: "PROFESSORE" e questo l'abbiamo capito tutti, perchè è facile.
Poi è più difficile, perché siccome è uno studente di liceo che vuole parlarci al suo Professore di liceo usa un linguaggio colto, che forse è latino o greco, che noi non ci capiamo perché siamo ignoranti, ma che io ce lo scrivo così come si capisce fra una bolla e l'altra, che Lei che è un professore senz'altro lo capisce.
La parola è: "VAVVANGALO" oppure, secondo il caporale Pruller, che ci ha perso gli occhi ma così ci sente meglio di prima, è: "VAV-VAN-GULO".
Sperando di esserci stato utile, mi firmo
Soldato Otto Muller