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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 1 luglio 1999
LA STRADA GIUSTA PER NON CRESCERE
Manovra 2000, i due nodi irrisolti

Da IL CORRIERE DELLA SERA, giovedi' 1 luglio

di Alessandro Penati

L'euro ha portato all'Italia tassi di interesse bassi, credito abbondante e stabilita' finanziaria; ma non la crescita. Tutti ormai concordano: per la crescita ci vogliono liberalizzazioni e concorrenza. Il Documento di programmazione economica era l'occasione per indicare al Paese come perseguirle; cosi' non e' stato.

Il primo nodo e' il rapporto della sinistra con il sindacato. La spesa previdenziale e' un costo intollerabile. Per sostenere i pensionati, i lavoratori dipendenti trasferiscono allo Stato 45 lire, in contributi sociali e imposte, ogni 100 che guadagnano. Un sistema costoso, ma anche iniquo e inefficiente. Iniquo, perche' alcune categorie (artigiani, commercianti, associazioni professionali) hanno oneri dimezzati rispetto ai dipendenti. Inefficiente perche', oltre a permetterlo, incentiva i cinquantenni ad andare in pensione: l'ammontare medio delle nuove pensioni per chi ha meno di 55 anni e' il doppio di quanto erogato a chi smette di lavorare dopo i 65.

I tecnici concordano: bisogna elevare l'eta' pensionabile, uniformare le prestazioni, e commisurarle ai contributi versati. Il problema e' politico. L'attuale dirigenza sindacale guida organizzazioni in cui la meta' degli aderenti e' pensionata: impossibile che una riforma definitiva della previdenza trovi il loro consenso. Ma proprio su questo consenso tutti i governi della sinistra, Amato, Ciampi, Dini, Prodi e D'Alema, hanno fondato la politica economica che ha portato l'Italia in Europa. Il sindacato, giustamente, rivendica una parte del merito: con l'accordo del 1993, ha accettato una contrazione del potere di acquisto dei salari (da allora la quota del lavoro dipendente nel reddito nazionale e' scesa di 5 punti percentuali) ottenendo in cambio che il risanamento della finanza pubblica risparmiasse lo Stato sociale. Se cade l'accordo, il sindacato perde credibilita'.

L'occupazione, negli Stati Uniti, e' cresciuta di 16 milioni di unita' negli ultimi 10 anni; il 90% dei nuovi posti si concentra in tre settori: finanza, sanita', commercio e turismo. Nel terziario si creano i nuovi posti di lavoro; dunque, e' nel terziario che bisognerebbe liberalizzare maggiormente.

In Italia, la mancanza di concorrenza nei servizi e' servita a mantenere tante posizioni di rendita, impedendo la crescita degli operatori piu' efficienti: nel trasporto su strada non ci sono grandi aziende, ma un esercito di padroncini; il maggior gruppo italiano della grande distribuzione e' un nano a livello europeo; abbondano alberghi e ristoranti a conduzione familiare, ma mancano le grandi catene. Negli Usa, gli studi legali impiegano migliaia di professionisti; in Italia, invece, si moltiplicano gli albi professionali a difesa di minuscoli orticelli. Basta leggere la relazione dell'Antitrust: gli odontoiatri vogliono tariffe minime inderogabili per legge; l'Associazione nazionale consulenti lavoro lotta per mantenere il monopolio nella compilazione delle buste paga. A una sinistra prigioniera del sindacato corrisponde una destra che, schiava di consensi coltivati, scende in campo contro la liberalizzazione del terziario.

Ma non c'e' solo la politica: se le imprese non crescono, non e' sempre colpa delle rigidita' del mercato del lavoro. Troppo spesso, nelle strategie aziendali, la logica del controllo prevale su quella della ricerca di valore: per non imbarcare soci esterni (e sopportare una maggiore trasparenza) le aziende italiane sono riluttanti a quotarsi; per farlo, hanno bisogno di cospicui sussidi dal Fisco (utili detassati); e quando arrivano in Borsa, sono gia' vecchie (mediamente a 36 anni). Nelle societa' quotate, l'imperativo e' stabilizzare il controllo: da quando e' in vigore il Testo Unico, che voleva rendere contendibili le societa', non si fa che parlare di patti di sindacato. E quando crescono, le imprese spesso non reinvestono nel core business.

Informatica e farmaceutica sono settori ormai persi; ma l'Italia non riesce a creare aziende leader in campo europeo neppure in settori tradizionali come l'editoria o l'alimentare; per non parlare dei beni di lusso, dove, invece di dominare, gli imprenditori italiani fanno da spettatori all'appassionante lotta tra due gruppi francesi per il controllo di Gucci.

 
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