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Conferenza Rivoluzione liberale
Poretti Donatella - 3 agosto 1999
PANNELLA DEVE PASSARE DAGLI SLOGAN AI PROGRAMMI

da ITALIA OGGI di martedi' 3 agosto 1999, prima pagina

di Sergio Soave

Marco Pannella, nel giorno del trionfale congresso dei radicali, rilancia con un felice slogan un programma insieme liberale, liberista e libertario. Si puo' eccepire che il trionfo, in questo caso, e' dovuto piu' all'immagine di Emma Bonino che alla sua i maligni addirittura sostengono che una causa non secondaria di quel successo, che ha portato i radicali a insediarsi al quarto posto fra le preferenze elettorali degli italiani, sia stato il silenzio cui il leader storico e' stato costretto durante la campagna elettorale europea da una grave malattia. Ma, in sostanza, il pensiero radicale e' egregiamente sintetizzato dalla sintesi pannelliana ed e' con questo che alleati e avversari dovranno fare i conti.

Il problema e' che, al di la' delle assonanze, gli obiettivi liberali, liberisti e libertari non sono naturalmente convergenti e, se possono diventarlo, richiedono una mediazione politica e culturale piuttosto complessa, che richiede a chi li propone uno sforzo di elaborazione e di fantasia non certo semplice e scontato.

Per chiarire le linee di frattura fra le opzioni che vengono date come omogenee puo' servire qualche esempio. La societa' concretamente piu' liberale del mondo e' quella americana, come Pannella stesso riconosce. Ma gli Usa sono l'unico (continua a pagina 2)

grande paese democratico in cui vige la pena di morte e in cui il diritto alla difesa personale sfocia nella diffusione senza paragoni delle armi fra la popolazione civile. I radicali, che sono gli animatori del movimento Nessuno tocchi Caino che si batte valorosamente per l'abolizione della pena di morte, sanno bene che questa, in una societa' indubitamente liberale, viene intesa come una espressione del diritto all'autodifesa sociale, come la diffusione delle armi e' considerata necessaria all'autodifesa privata.

I radicali considerano inaccettabile la situazione della Cina, l'occupazione militare e l'oppressione dei buddisti in Tibet, la repressione di ogni forma di libera espressione del dissenso (perfino attraverso l'innocua pratica della respirazione profonda dei seguaci del Faulong). Ma i liberisti puri vedono di buon occhio la liberalizzazione economica senza contrappesi sociali del governo di Pechino, dove si puo' licenziare milioni di operai in modo assai piu' rapido e indolore di quel che sarebbe consentito da noi anche se venisse approvato il piu' "radicale" dei quesiti referendari proposti da Pannella.

Per tornare a casa nostra, bisogna tener conto che le istanze liberali, in Italia, hanno avuto una storia grama. Pannella si richiama alla "destra storica", quella che governo' nel nostro paese per pochi anni, dalla fine del connubio cavourriano, una specie di centro sinistra ante litteram, alla rivoluzione parlamentare del 1876 che si tradusse rapidamente in trasformismo.

Concretamente i governi della destra storica furono tutt'altro che libertari e se risanarono le finanze, raggiungendo per la prima e unica volta nella storia della penisola il pareggio del bilancio, lo fecero imponendo l'imposta sul macinato, difesa solo dalla repressione della guardia regia, che non era un'istituzione particolarmente libertaria. Ma, soprattutto, i liberali non ressero all'urto della democrazia di massa e si illusero di poterne controllare gli eccessi di tipo rivoluzionario con la tolleranza dei fasci di combattimento, che poi si impadronirono del potere negando insieme i principi liberali, quelli liberisti e quelli libertari.

Si sostiene con fondamento che le basi italiane del liberalismoerano troppo ristrette, per il carattere elitario e borghese del Risorgimento, che aveva escluso le masse cattoliche. Ma alla fine si deve constatare che sono stati piu' liberali esponenti cattolici come Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, che si opposero, perdendo, al fascismo e, vincendo, al comunismo, che i grandi capi dell'industria, liberisti per natura, che invece furono sempre disposti al compromesso con le spinte autoritarie. Ma naturalmente e' difficile chiedere ai cattolici di essere libertari, almeno nel senso delle battaglie di modernizzazione e secolarizzazione della societa' condotte dai radicali.

Cio' non toglie che l'obiettivo di unificare le tre liberta', quella economica, quella politica e quella personale, resti affascinante. Ma richiede qualcosa di piu' di uno slogan e anche di qualche referendum.

Se i radicali fossero restati in sostanza un movimento di opinione avrebbero il diritto di lanciare le loro spesso positive provocazioni, imponendo alla politica, spesso attardata nella contemplazione dei suoi riti autoconservativi, di confrontarsi con sempre nuove sfide.

Ora, invece, che godono di una base elettorale considerevole e forse decisiva per le alleanze vincenti e che si definiscono un partito di governo, debbono risolvere le contraddizionifra i loro obiettivi, indicare il percorso politico che li puo' rendere compatibili. Insomma si trovano di nuovo di fronte al problema della democrazia di massa, che i liberali prefascisti cui si richiamano non riuscirono a risolvere.

L'illusione che, nell'era delle nuove tecnologie dell'informazione, la democrazia mediatica possa sostituire e assorbire quella di massa e' appunto, una illusione. Se e' vero che le forme dell'organizzazione politica di massa sono in via di superamento, cio' non significa che si possa sostituire lo slogan al programma, l'immagine alla politica. Se si riflette ai recenti successi di Forza Italia, che gli avversari attribuiscono esclusivamente a un uso intelligente dei media (che e' sempre meglio, comunque di un uso controproducente), si vede che alla loro base c'e' la ricostruzione di un terreno politico moderato e riformatore e di collegamenti internazionali, la cui assenza aveva portato alla sconfitta del '96.

Anche per i radicali e' giunto il momento degli esami di maturita': se vogliono diventare partito di governo debbono superare la prova e fornire le garanzie di una capacita' di superare la prova e fornire le garanzie di una capacita' di superare le contraddizioni insite nei loro obiettivi propagandistici. In questo senso (ma solo in questo senso) il congresso di Roma non e' stato un successo.

 
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