Stamane ho ascoltato a RadioRadicale l'ottimo Landi intervistare il mio amico Benedetto Della Vedova, sulla questione dell'incremento del lavoro nero in italia. Era uno stralcio e non un'intervista completa, ma cị che mi ha colpito e' ascoltare Benedetto dire - fra le altre cose - a sostegno delle nostre tesi sulla legalizzazione e liberalizazzione di part time e contratti a termine e cosi' via:
"il lavoro nero e' la premessa per pensioni sociali, ovvero per ulteriori danni al bilancio dello stato" (piu' o meno testuale)
Rispondo: giusto.
Ma puo' mai essere che nelle nostre riflessioni manchi quella
per la quale - ad esempio - il lavoro nero e' una condizione nella quale per il cittadino-lavoratore non c'e' alcun rispetto delle minime condizioni di sicurezza sul lavoro, non c'e' alcuna assicurazione anti-infortunistica, non c'e' la benche' minima garanzia per il lavoratore in materia di rispetto del contratto (a cottimo od a tempo determinato che sia?).
Insomma, capisco che altri vivano ed abbiano vissuto altrove.
Io invece vengo dal sud, dalle case popolari dell'hinterland di Napoli e probabilmente questo mi induce ad avere un approccio diverso al problema.
Ho visto e vedo gente che ancora oggi lavora a nero da carpentiere o muratore per paghe da fame (ma meglio di niente) e soprattutto senza nessunissima garanzia seppur minima di quelle che i sindacati tanto sbandierano e che tanto noi staremmo per distruggere definitivamente.
Perche' si rinuncia aprioristicamente, direi, quasi ideologicamente, a portare lo scontro sul terreno e su temi tanto cari alla tradizione socialista e di sinistra, avendo inoltre la possibilità di essere vincenti?