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Conferenza Rivoluzione liberale
Partito Radicale Rinascimento - 10 agosto 1999
NOTE DI EMMA BONINO

Troppi consigli, come se non sapessi sbagliare da sola

Mi chiedo quale altro personaggio politico italiano, prima di me, abbia suscitato presso gli opinion makers - non solo editorialisti e politologi, ma anche presso leader politici, imprenditori, sindacalisti - un'ondata cosí vasta e prolungata di paternalismo e pedagogia. Sono ormai mesi che vengo investita quotidianamente da consigli, suggerimenti, raccomandazioni, appelli accorati, rimproveri, rampogne, ramanzine, cazziatoni. Da parte di amici, nemici e sconosciuti. Simpatizzanti e antipatizzanti. Italiani e stranieri. Sui giornali, via etere, via e-mail, persino per la strada. Tutti, ma proprio tutti, sanno dove ho sbagliato e dove no; quello che avrei dovuto fare e non ho fatto. C'è addirittura chi, non essendo mai stato militante né simpatizzante radicale, cerca di insegnare a me e ai miei compagni come dovrebbero comportarsi dei veri radicali.

Proviamo a mettere un po' d'ordine. Quando Silvio Berlusconi nel dicembre del 1994, cedendo alle pressioni di Marco Pannella, mi nominó commissaria europea, piú d'uno ritenne che il mio marchio di fabbrica radicale sarebbe stato, a Bruxelles, un serio handicap. Ora non sta a me fare il bilancio dei miei quattro anni e mezzo di lavoro in seno all'esecutivo dell'Unione Europea. Sarebbe noioso elencare le cose fatte e sarebbe imbarazzante ricordare i riconoscimenti che mi sono piovuti addosso dal mondo intero. Mi preme solo dire che il mio essere radicale - proprio a Bruxelles - é stato uno dei fattori determinanti, forse il solo "segreto", di quest'esperienza cosí entusiasmante e, per di piú, scandita da cosí tanti riconoscimenti e decorazioni da apparire strada facendo a qualcuno (cito uno dei miei collaboratori di Bruxelles) come "un processo di beatificazione laica della Bonino".

Che intendo per "il mio essere radicale"? Un rispetto maniacale per le istituzioni, le regole e la "legalitá"; il bisogno di lavorare in gruppo; l'abitudine al lavoro "transnazionale"; la comunicazione (far sapere sempre quello che fai) intesa come parte integrante dell'azione politica e non come occasionale "propaganda"; e soprattutto la connaturata incapacitá, mia personale e in genere dei radicali, di occuparmi di alcunché - persino delle quote di merluzzo e dei test sulla diossina nei cibi - senza metterci passione, senza le budella. Niente mi dá tanto piacere quanto fare un lavoro che mi piace.

Perché sono uscita dalla campana di vetro?

Non so davvero perché, in questi quattro anni e mezzo tanta parte del mondo politico italiano abbia pensato (o creduto, o sperato) che Emma Bonino avesse cessato di essere radicale. Che la statura, la reputazione, il prestigio acquisiti da Bonino commissaria europea l'avessero rinchiusa per sempre in una campana di vetro, trasformata in qualcosa di altro, di diverso e non piú compatibile con il Partito radicale. Insomma, non capisco come quegli stessi osservatori e commentatori che per anni si sono compiaciuti dei consensi ottenuti ai quattro angoli del mondo dalla concittadina Bonino (come ci si compiace dei successi made in Italy dei nostri grandi sportivi, dei nostri artisti, dei nostri vini e formaggi) abbiano potuto rimuovere un dato che a me é sempre parso chiarissimo. L'essere Emma Bonino ció che definirei la manifestazione piú visibile, il simbolo, di un partito, di un gruppo di persone tenute insieme da una loro cultura politica e da un loro modo assai speciale di fare politica.

Il "processo di beatificazione laica" si é bruscamente interrotto tra marzo e aprile scorsi, in coincidenza con una mia rinnovata presenza nella politica italiana. Questa presenza - che tanta parte del mondo politico nazionale ha vissuto come una sorpresa, quando non addirittura come una slealtá (ma verso chi?) - a me era sempre parso scontato: cosi'come altrettanto evidente mi appariva il legame fra Bonino e il suo partito. L'unico partito della mia vita. La mia presenza nella politica nazionale ha assunto la forma di due annunci, vicini nel tempo ed entrambi giudicati "destabilizzanti" dagli attuali padroni della politica: la mia candidatura al Quirinale e la possibile nascita di una "Lista Bonino" per le europee.

Nel volgere di poche settimane ho sentito cambiare il vento e l'immagine che di me stessa mi rimandavano i leader politici: non ero piú un inoffensivo successo del made in Italy, bensí un insidioso concorrente, un possibile "usurpatore" di voti e di consensi.

Perché noi radicali stressiamo le altre forze politiche?

Sembra quasi che io, che noi radicali, ci dobbiamo scusare per i traumi che periodicamente procuriamo al nostro mondo politico, il cui metabolismo assomiglia a quello di un organismo anziano, cagionevole, perennemente in bilico; un organismo che - per raccomandazione dei medici - "non dovrebbe subire stress".

Ci si chiede spesso di rinunciare a iniziative politiche che a noi sembrano urgenti e sacrosante - come oggi i referendum - perché tali iniziative risultano agli altri "destabilizzanti", stressanti appunto. Come se la destabilizzazione degli equilibri politici e/o di potere esistenti (e che ognuno é libero di giudicare nocivi: o no?) non fosse una delle funzioni essenziali della politica. Il suo stesso sale.

E poiché risultiamo destabilizzanti ci si rivolge spesso a noi - da destra e da sinistra - con atteggiamenti che vanno dalla supponenza all'irritazione, passando per lo scherno e la contumelia piú o meno elegante ("Pannella é un pazzo", "Bonino é una protesi" "Bonino é un'ancella"). L'establishment si rivolge spesso a noi con un complesso di superioritá che meriterebbe l'attenzione di qualche psicanalista capace e coraggioso.

Eppure, nel mutevole, volubile, labirintico panorama politico italiano noi radicali siamo forse l'unico partito - l'unico attore politico (sarei contenta di sbagliarmi)- che da decenni non sente il bisogno di cambiare etichetta, "ragione sociale", né di cambiare pensiero politico di riferimento, ideologia; siamo i soli che non hanno dovuto - per restare a galla o piú prosaicamente per salvare la faccia - o ripudiare un passato infamante (la complicitá morale con i crimini del fascismo o del comunismo realizzato), o farsi perdonare furti, tangenti, peripezie giudiziarie e/o malgoverno.

I nostri cromosomi sono liberali

Nei nostri cromosomi liberali, lo ricordo soprattutto a chi tenta frasi ad effetto sul nostro patrimonio genetico, sono fortemente presenti due caratteristiche, due costanti:

- un rispetto maniacale per le istituzioni e le regole, per la legalitá;

l'assoluta determinazione a usare tutti gli spazi e gli strumenti offerti dalle regole esistenti (ivi comprese le contraddizioni spesso create da leggi sbagliate o obsolete) per raggiungere un obiettivo che noi consideriamo giusto;

quando decidiamo di violare una legge iniqua e/o inapplicabile, lo dichiariamo e lo facciamo con la "disobbedienza civile"

Questi nostri dannati cromosomi ci spingono spesso a non rispettare usi e costumi - non leggi, si badi bene, - usi e costumi imposti al teatro della politica dai suoi attori principali. Chi é al potere, infatti, tende sempre ad attribuire sacralitá di codice anche a consuetudini e norme non scritte che valgono, al massimo, quanto l'effimero e opinabilissimo "galateo" scelto dai soci di un club: che oggi c'é e domani non si sa.

Ma perché Bonino non divorzia da Pannella?

Dal 13 giugno non passa giorno senza che io senta o legga qualcuno sostenere la tesi secondo cui é un vero peccato che il patrimonio di consenso accumulato da Bonino, la vera e principale novitá politica di questi mesi, venga sperperato da quell'irresponsabile di Pannella, che fu "nuovo" anche lui - per carita'- ma tanto tempo fa, non piú ora che sta invecchiando male, che gira a vuoto, che continua a fare il padre-padrone se non addirittura il vampiro. Questo atteggiamento (a parte forse i piú giovani, che hanno scoperto Bonino senza avere memoria storica del partito radicale) mi sembra assai tartufesco.

Sa che penso? Che si esalta Bonino per meglio esorcizzare Pannella e i radicali; che si auspica il divorzio fra Bonino e Pannella nella speranza di avere a che fare con una Bonino "bonificata", "rieducata" - leader di un nuovo cespuglio, fiorito e profumato - molto piú simile agli odierni mestieranti della politica (quelli che si parlano ininterrottamente addosso, volgendo le spalle alla gente) che non a questi utopisti cocciuti che sono i radicali, pronti a rimettere quotidianamente in gioco tutto - i loro stessi voti - pur di mettere fine all'immobilismo che paralizza il sistema-Italia.

Mi spiace, ma non vedo oggi una sola buona ragione - una sola - per cui io debba prendere le distanze da Marco Pannella, l'uomo politico piú disinteressato, generoso e coraggioso che conosca. Chi davvero cerca di dividerci rivela poca intelligenza, molta rozzezza e una sostanziale ignoranza della nostra storia.

Marco ed io - come sanno benissimo i nostri compagni di partito - siamo due giocatori della stessa squadra. Non potremmo, umanamente, essere piú diversi: per carattere, comportamenti, abitudini: ma ció non ci ha mai impedito, dico mai, di lavorare e lottare insieme, di sentire una grande affinitá ideale, di sentirci pienamente responsabili di fronte alle donne e agli uomini che continuano - attraverso i decenni - a considerare il partito radicale come la loro casa.

Quello mio e di Pannella é il sodalizio politico e umano di una vita intera. E mi sarebbe francamente difficile dimenticare che da un quarto di secolo tutte le tappe decisive della mia carriera sono nate da altrettante intuizioni di Marco, che - avendo sistematicamente avuto fiducia in me prima ancora di me stessa - mi ha spinto nel 1976 sui banchi del parlamento nazionale e poi di quello europeo, mi ha voluto presidente del partito, commissario europeo e capolista alle ultime elezioni.

Mi spiace, ma lo scioglimento del tandem Bonino-Pannella, invocato con tanta piú forza proprio da chi é piú allergico alla cultura politica radicale (da Berlusconi a Curzio Maltese), non é all'ordine del giorno. Ognuno di noi due continuerá a battersi per i nostri obiettivi comuni come sa e come puó: Marco con il suo stile di lavoro cosí poco "disciplinato"- e irruento, fatto di forzature semantiche e di una inesauribile capacitá di indignarsi - e io con il mio, saldamente ancorato alle abitudini, al metodo, allo studio pignolo delle carte, al buon senso quotidiano. Le nostre esperienze, ormai, si completano e si arricchiscono mutualmente. Continueremo a giocare nella stessa squadra, cercando di valorizzare il nostro patrimonio politico comune.

Capisco l'insistenza dei politici sulla necessità del mio divorzio da Marco. Capisco meno quella dei giornalisti, alcuni dei quali mettono in questa polemica una foga, un malanimo, un pregiudizio maschilista, che non possono non insospettire. Posso prendermela con qualche giornalista senza essere accusata del "solito vittimismo radicale"?

Detto questo, c'è davvero qualcuno disposto a pensare che per dimostrare il mio grado di emancipazione devo uscire da sola, devo lasciare Marco fuori dai ristoranti dove vedo Berlusconi o lontano dai microfoni da cui parlo?

Lo so: per la sua longevitá politica, per la sua memoria da elefante e per la sua determinazione (a Roma la chiamano tigna), Marco si é conquistato antipatie forti ed "eterne". Ma, dico io: se varie generazioni di cavalli di razza della politica italiana non sono riuscite a liberarsi di Pannella (e dio sa se si sono sforzati) perché mai si vuole affidare questo compito a Emma Bonino che di Pannella é un'estimatrice?

Lo so: il carattere di Marco ha spinto molti dirigenti radicali (alcuni di qualitá, altri meno) a cercare fortuna, e a trovarla, a titolo individuale. Non capisce Bonino che se non scappa in tempo di casa finirà anche lei fagocitata da Pannella-Saturno?

Se io inseguissi ambizioni o successi personali sarei giá da tempo ministro di D'Alema, sindaco da qualche parte, segretario politico di un cespuglio, presidente di una fondazione benefica. Io amo avere successo, ma a patto che questo successo sia il risultato di una vittoria politica, il riconoscimento ad un tempo di doti personali ma anche della bontá delle idee che difendo e dei metodi usati per affermarle. Non saró mai un'indipendente, di destra o di sinistra, né ció che nel calcio si definisce un "fantasista". Per me la politica é un gioco di squadra e per dare la propria impronta a una squadra ci vogliono talento, tempo, costanza e molta creativitá.

Qualche parola sulla questione Le Pen

La questione continua a sembrarmi tutt'altro che torbida. Noi radicali cerchiamo da vent'anni di fare adottare al Parlamento europeo la stessa normativa in vigore a Montecitorio sul "gruppo misto", cioè quell'automatismo per cui Bertinotti e Rauti (si può immaginare qualcosa di più incompatibile?) condividono senza imbarazzo lo stesso vagone, insieme a molti altri, perché solo così possono godere di tutte le prerogative spettanti ai parlamentari. Il principio che in questo modo il parlamento italiano afferma mi sembra inoppugnabile: all'uguaglianza dei diritti per gli elettori deve corrispondere uguaglianza dei diritti per gli eletti. Capisco l'incomprensione in paesi che non hanno questa norma, ma perché anche in Italia qualcuno finge di scandalizzarsi?

 
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