COMUNICATO STAMPA DELL'ADUC
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SONO QUELLI DEI COLLABORATORI E PARTITE IVA. PUR PORTANDOLO AL 20% AUSPICATO DAI SINDACATI CONFEDERALI LASCERA' MOLTI SENZA UN SOLDO O SENZA NIENTE DI PIU' DI QUANTO E' GARANTITO CON LA PENSIONE SOCIALE. PERCHE' OBBLIGARE A CONSUMARE UN BENE CHE NON FORNISCE UTILITA'?
NON SAREBBE MEGLIO CHE OGNUNO INVESTISSE IN UN'ASSICURAZIONE?
Firenze, 24 Agosto 1999. I sindacati confederali, per voce di Pietro Larizza, fanno sapere che hanno tutte le intenzioni di aumentare il contributo obbligatorio pensionistico dei collaboratori e delle partite Iva, portandolo dall'attuale 12 fino al 20%.
Interviene il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito.
Il ragionamento in teoria sarebbe lodevole, ma e' solo paternalistico e dannoso per le tasche del contribuente, perche' alla fine non garantisce nulla di cio' che gia' c'e'. Per noi, infatti, andrebbe abolito e non raddoppiato.
Innanzitutto l'Inps niente deve a chi versa per meno di 5 anni, ed essendo lavori non-garantiti, non saranno pochi coloro che avranno effettuato versamenti per questo lasso di tempo e non ne usufruiranno. Non solo, ma questi lavori -in termini di reddito, discontinuita' e costi per la produzione dello stesso- non possono essere equiparati a quelli dipendenti: sono produttori di reddito immediato, ma -stante l'attuale sistema obbligatorio INPS- non potrebbero mai esserlo per questa pensione: un sistema troppo rigido e con contabilizzazioni basate su redditi continui e lordi -al netto delle spese- molto alti. E lontani da queste realta'.
Che e' un'altra. E' proprio grazie alle partite Iva e alle collaborazioni che l'economia non e' esplosa. Se le percentuali di non-occupazione fossero realmente quelle ufficiali, non assisteremmo ogni giorno al rifiuto di posti di lavoro che -per vari motivi- non vengono giudicati di qualita' dagli aspiranti. E' un'economia che l'individuo modella alle sue esigenze, e non viceversa o a quelle di aziende senza futuro, piu' o meno espressione delle regalie pubbliche.
E in questo contesto i sindacati confederali vorrebbero che il 40% (20% ritenuta d'acconto e 20% contributo INPS) del reddito di questi lavori fosse devoluto allo Stato.
Altro capitolo per la ritenuta d'acconto, ma quello pensionistico e' un gigantesco stimolo all'evasione, al rifiuto dello Stato, percepito come un obbligo da cui non si traggono vantaggi.
Per molti la pensione che verra' raggiunta non sara' molto dissimile da quella sociale (garantita senza necessita' di versamenti).
Quindi perche' versare? Perche' obbligare a consumare un bene che non fornisce alcuna utilita'? A meno che i contributi richiesti non siano una tassa, e allora chiamiamola col suo nome: "tassa a carico di chi non avra' pensione". E' facile pensare che i contributi richiesti siano destinati a coprire i buchi dell'Inps.
Non sarebbe piu' semplice e redditizio che ognuno versasse il contributo all'assicurazione che gli piace e ne cogliesse i frutti direttamente? Non solo, ma per far risparmiare lo Stato -ed essere giusti verso chi non ha o non ha avuto- in presenza di assicurazione privata, si potrebbe annullare il beneficio alla pensione sociale.
Un metodo di responsabilizzazione del contribuente a cui sappiamo che il nostro sistema e' abbastanza estraneo, per il momento. Ma e' un metodo che, fotografando la realta', investe sulle capacita' imprenditoriali degli individui, non dello Stato che, invece, dovrebbe solo sovrintendere al rispetto delle regole, stimolando le situazioni.