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Roma, 2 aprile 2008

ROMA CITTA’ METROPOLITANA

Oggi, per la naturale e per la crescente estensione del territorio capitolino, la Provincia ed il Comune sono assolutamente inadeguati rispetto alle esigenze dei cittadini del centro e dell’hinterland romano. L’urbanistica, le infrastrutture, la mobilità, la viabilità primaria e la tutela dell’ambiente devono competere solo alla Città metropolitana, mentre: mobilità secondaria, gestione del verde pubblico, raccolta dei rifiuti, analisi della qualità dell’aria, affissioni pubblicitarie, decoro e arredo urbano, gestione delle edificazioni esistenti e certificazioni di efficienza energetica degli edifici, occupazione suolo pubblico, commercio e mercati, scuola, assistenza sociale, impianti sportivi, cultura e valorizzazione del patrimonio storico-artistico-architettonico, trasparenza, accesso alle informazioni e diritti dei cittadini e cimiteri devo competere ai comuni che formano la Città metropolitana. Questa vera e propria “rivoluzione” delle competenze comporterà anche una riforma del sistema attuale dei Municipi di Roma. E’ importante accorpare i più piccoli e, risparmiando rilevanti risorse economiche, trasformarli in veri e propri comuni con relative competenze. Non è più concepibile affidare ai 121 comuni della provincia di Roma competenze per risolvere problemi che vanno ben oltre ogni loro singolo territorio, ma abbiamo bisogno urgente, per dare risposte efficaci, di concepire una visione integrata, d’assieme dell’area metropolitana romana.

ANAGRAFE PUBBLICA

Una seria riforma della pubblica amministrazione si misura anche attraverso la trasparenza che ogni ente locale sa, e vuole, garantire. La provincia di Roma può essere la prima istituzione locale ad attuare la riforma radicale che va sotto il nome di “anagrafe pubblica”

Sappiamo bene quanto sia difficile, per non dire impossibile, avere una informazione corretta e quanto il rapporto tra eletto ed elettore vada sempre più deteriorandosi. Come radicali abbiamo da sempre posto la questione della pubblicità della vita istituzionale e dell' einaudiano "conoscere per deliberare" applicato in primo luogo alla responsabilità di chi è chiamato a rappresentare un territorio e i suoi abitanti. Oggi tutto questo potrebbe essere più semplice grazie ad internet. Qualora fossi eletto presenterei immediatamente una proposta di delibera per predisporre, sul sito della Provincia di Roma, delle apposite pagine web per seguire l’attività di ogni consigliere e di ogni atto riconducibile all’amministrazione provinciale. Questi sono i punti irrinunciabili inerenti all’anagrafe pubblica:

I) il bilancio annuale, il bilancio pluriennale, la relazione previsionale e programmatica, il piano degli investimenti, il piano esecutivo di gestione ed il documento di programmazione finanziaria, comprensivo di tutti gli allegati e, in particolare, l’elenco delle ditte fornitrici e delle consulenze.

II) le delibere approvate, suddivise per anno, argomento, presentatore, iter; le delibere devono poter essere rintracciate sia con la ricerca avanzata, sia con la ricerca libera nel testo. Ciascuna delibera deve essere inserita sul sito entro due giorni dalla sua approvazione

III) l’archivio degli altri atti della Provincia approvati o, per interrogazioni e interpellanze, con iter concluso: mozioni, ordini del giorno, presentatore, iter; tutti gli atti devono poter essere rintracciati sia con la ricerca avanzata, sia con la ricerca libera nel testo. Ciascun atto deve essere inserito sul sito entro due giorni dalla sua approvazione.

IV) i bandi e gli esiti di gara.

V) un elenco in merito all’intera attività degli incarichi esterni (incarichi, studi, progettazioni, contratti a tempo determinato…); per ogni incarico devono risultare in maniera omogenea le seguenti voci: ufficio proponente, soggetto assegnatario, tipologia dell’incarico (studio, progetto, prestazione, contratto a tempo determinato), ammontare pecuniario riconosciutogli, data di conferimento e di scadenza dello stesso, se trattasi di nuovo incarico, viceversa data di rinnovo se l’assegnatario ha già usufruito precedentemente di un incarico dell’amministrazione, comprensivo delle attribuzioni attualmente in essere o assegnate da questa Amministrazione; obbligo di dichiarare se i consulenti hanno rapporti di consulenza con le società controllate o partecipate dalla provincia e per quali importi, obbligo di dichiarare che i consulenti non hanno condizioni di incompatibilità (ad esempio dipendenti di enti pubblici che per legge o per regolamento stabiliscono alcune incompatibilità tra funzione pubblica e lavoro autonomo).

VI) per ogni Società controllata dalla Provincia (anche quelle controllate attraverso una partecipata) la Ragione Sociale, i dati essenziali di bilancio, i nominativi dei consiglieri di amministrazione ed i relativi emolumenti.

SICUREZZA SCOLASTICA

Come risulta evidente dall’esperienza quotidiana di ogni famiglia, la situazione edilizia degli edifici scolastici pubblici (ma non solo) a Roma e Provincia è quantomeno allarmante, per quanto riguarda le norme di sicurezza anche le più elementari.

Tale situazione, peraltro egregiamente fotografata dal rapporto annuale di Cittadinanza Attiva, si trascina ormai da molti anni, complice anche una giungla legislativa, che, sebbene demandi alla Provincia l’onere della messa in sicurezza delle scuole, si impantana in una serie di procedure e competenze che coinvolgono anche altre amministrazioni, come il Comune e, a Roma, i Municipi

Partendo proprio dai dati già in possesso dalla Provincia di Roma sarà mio compito prioritario quello di farmi promotore di un’azione politica per la sicurezza scolastica, con un’azione consiliare che si muoverà su due direttrici. Da una parte la creazione di una task force dei tecnici della Provincia volta a completare in breve tempo la mappatura delle necessità territoriali, identificandole per distretto scolastico e/o amministrazioni competenti (municipi e comuni). Dall’altra, al termine del primo percorso, dare vita ad una sorta di azione congiunta fra proposte consiliari per il reperimento dei fondi necessari alle opere (emendamenti al bilancio, ottimizzazione della spesa corrente) ed azioni di proposta sul territorio per il reperimento di partnership fra mondo economico ed unità scolastiche, così da creare un ciclo virtuoso ed un volano, finalizzati sì alla messa in sicurezza degli edifici dove quotidianamente studenti e lavoratori passano alcune ore della loro giornata, ma anche creare una simbiosi economica e di investimenti, fra l’economia locale e le scuole, foriera nel futuro di sviluppi senz’altro positivi.

RIFIUTI ED ENERGIA: UNA QUESTIONE DI BUONA POLITICA

Trasformare i rifiuti in denaro nelle tasche dei cittadini

In Italia, quando si parla di riciclo dei rifiuti, i cittadini sono così sfiduciati da pensare che le strategie di riciclo possano esistere solo nelle favole.

Invece, riciclare fino al 90% dei rifiuti è possibile. Lo si fa già e non in un pianeta lontano, bensì qui vicino a noi, in Europa, in Germania.

Le istituzioni tedesche, per il trattamento dei rifiuti, hanno adottato una legge detta “delle 3R”: riciclo, riutilizzo, riduzione. Questa legge impegna i cittadini ad effettuare una accurata differenziazione dei rifiuti. In cambio della loro diligenza e responsabilità, le famiglie o le singole persone che producono meno rifiuti non riciclabili pagano meno la relativa tassa di smaltimento.

La tassa sui rifiuti in Germania non viene calcolata in base ai metri quadri dell’abitazione, bensì in base alla quantità di rifiuti prodotti dai nuclei familiari.

In questo modo per esempio, una persona anziana che vive sola e differenzia con cura i rifiuti, non paga le tasse in modo iniquo. Anche una famiglia numerosa che differenzia bene i rifiuti pagherà meno tasse di una famiglia altrettanto numerosa ma più indisciplinata.

Ma se vogliamo avvicinarci ancora di più, il Veneto è la Regione italiana più avanzata in materia di gestione dei rifiuti. La Regione ha adottato un piano regionale che ha portato alla progressiva riduzione dei rifiuti non riciclabile a tal punto da rendere non più necessari ben due dei tre termovalorizzatori regionali.

La Provincia di Roma può farsi promotore di un tavolo di discussione tra i 121 comuni del Lazio, per la stesura di un piano provinciale sulla gestione dei rifiuti che segua le linee del modello già adottato dalle province del Veneto e sollecitando la Regione, con un atto di indirizzo, ad adottare un piano Regionale sul modello veneto.

Questo è il sistema più efficace per ridurre progressivamente la quantità di rifiuti non riciclabili.

Questo è il sistema che ridurrà drasticamente la necessità di tanti impianti di incenerimento, limitando le emissioni di polveri sottili e di gas serra.

Questo è il sistema per tutelare l’ambiente e il decoro delle nostre città.

Questo è il sistema per trasformare i rifiuti in ricchezza: ma per i cittadini, non per le mafie!

Dai produttori si pretenda lo stesso senso di responsabilità

Tutte le più prestigiose aziende italiane che producono beni e prodotti che prevedono imballaggi, se vogliono esportare i propri prodotti in Germania – e vogliono, eccome! – devono attenersi a quanto prevede la legge sul “sistema duale”, anche chiamata del “punto verde”.

Avete mai visto sugli imballaggi di alcuni prodotti quel simbolo che raffigura due frecce che formano un cerchio? Questo è il simbolo del “punto verde” ed indica che il materiale di quell’imballaggio risponde ai requisiti di legge per il recupero, il riutilizzo e lo smaltimento. Indica anche che il produttore di quell’imballaggio è responsabile della sua raccolta, riutilizzo e smaltimento. In Germania si fa. Perché in Italia non si potrebbe fare?

La legge tedesca

La materia dei rifiuti è disciplinata dalla legge sui Cicli chiusi di sostanze e la Gestione dei rifiuti. Per ciò che concerne la responsabilità delle diverse fasi (raccolta, trasporto) per la gestione dei rifiuti, in Germania spetta agli enti locali (Comuni) la raccolta dei rifiuti domestici e le operazioni di smaltimento, e alle imprese private (produttori, proprietari ed addetti al riciclaggio) l’attività di recupero. L’obbligo di recupero dei rifiuti (riutilizzo e riciclaggio) deve avvenire a costi non sproporzionati rispetto a quelli che si hanno per lo smaltimento finale. Il recupero cioè, deve potersi realizzare a costi “economicamente ragionevoli”.

I produttori hanno l’obbligo di ritirare i prodotti usati da loro fabbricati al fine di realizzarne il recupero o lo smaltimento. La legge federale infatti, stabilisce l’obbligo per i produttori e i distributori di ritirare gli imballaggi di vendita usati dal consumatore finale, che devono essere riutilizzati o riciclati ogni qualvolta ciò sia possibile ed economicamente accettabile.

Nella gestione degli imballaggi è stato introdotto, a livello nazionale, il “Sistema Duale”, attuato attraverso la costituzione del “Punto verde” che è un’organizzazione del settore privato con il compito di garantire che i materiali da imballaggio riciclabili vengano raccolti presso le famiglie mediante appositi contenitori, che i materiali riciclabili vengano raccolti e selezionati da società private e che le industrie riutilizzino, nei processi produttivi, i materiali selezionati. Le attività di tale organizzazione sono finanziate con i contributi delle imprese associate e le tariffe di raccolta degli imballaggi usati si differenziano in funzione del tipo, del volume e dei materiali di tali rifiuti.

Per ciò che concerne la procedura di adesione, il sistema funziona in tal modo: un esperto del ministero fa una valutazione a campione degli imballaggi dei produttori e dei distributori per verificare la loro riciclabilità con recupero di materiale; nel caso tale valutazione abbia esito positivo, i produttori e i distributori, dietro corrispettivo, acquisiscono il diritto di apporre il simbolo del “Punto verde” sugli imballaggi.

Senza dubbio si tratta di una legge molto intelligente. Noi italiani non siamo stupidi. Siamo solo nelle mani di un sistema burocratico e partitocratico che si arricchisce alle nostre spalle. E’ ora di cambiare.

ENERGIA

L’Unione Europea, con la sua ultima direttiva sull’energia, ha impegnato i Paesi membri a ridurre le emissioni di CO2 del 20%; incrementare le fonti rinnovabili in modo da arrivare a soddisfare il 20% dei consumi energetici interni; incrementare l’efficienza energetica per ridurre del 20% il fabbisogno. Tutto questo entro il 2020, in poco più di undici anni.

Per raggiungere questi obiettivi, importanti per l’ambiente e la salute dei cittadini ma soprattutto indispensabili per tentare di far fronte alla crisi energetica mondiale, le proposte che ci vengono avanzate dalla politica e dall’industria sono prevalentemente quelle dell’energia nucleare e del cosiddetto “carbone pulito”.

Quello che non ci viene mai detto però, è che sia il petrolio che il carbone sono combustibili fossili la cui disponibilità è anch’essa in esaurimento, tanto quanto quella dell’uranio. Il costo di queste materie non potrà che aumentare proporzionalmente alla loro disponibilità.

Inoltre, le più autorevoli e certo non “di sinistra” o “ambientaliste” agenzie mondiali di ricerca (Moodys e MIT), ci dicono che la scelta nucleare non è una scelta opportuna perché è assolutamente antieconomica per il cittadino. E ancora, oltre al fattore sicurezza, resta non risolta la questione dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.

La potenzialità delle energie rinnovabili viene quasi sempre avanzata come ultima tra le soluzioni. D’altronde in Europa, la proporzione tra gli investimenti per la ricerca sulla fusione nucleare e quelli per la ricerca sulle energie alternative come l’eolico o il solare è di 100 a 10. L’Unione Europea investe sul progetto di ricerca internazionale ITER, volto alla realizzazione di una centrale a fusione nucleare, ben 10 miliardi di euro l’anno. Si spera di ottenere dei primi risultati entro il 2050. Nel frattempo noi cittadini continueremo a pagare. E il prezzo di petrolio, gas, uranio e carbone a salire.

Perché non investire in settori di gran lunga più promettenti, come le energie rinnovabili eoliche, solari, geotermiche?

A dispetto di quanto dichiarato in tutti i documenti istituzionali e governativi che trattano dell’energia del futuro, ovvero che il ruolo che le energie rinnovabili potranno occupare è una percentuale che “ottimisticamente non potrà superare il 12%” almeno fino al 2020, dai Comuni italiani arriva una risposta diversa.

Al dicembre 2007 infatti, sono 3190 i Comuni delle rinnovabili in Italia, ossia quelli dove è installato almeno un impianto nel proprio territorio comunale. Attraverso eolico, geotermico, idroelettrico, biomasse, già oggi sono centinaia i Comuni che producono più energia elettrica di quanta ne consumano.

Questo risultato lo si è ottenuto grazie ad una spinta dal basso, dalla volontà e determinazione dei cittadini nel voler scegliere direttamente quali tecnologie adottare per la produzione di energia.

Se anche noi avessimo dato ascolto, come gli altri partiti, a quanto ci rispondeva l’industria - venticinque anni fa - nel pieno della crisi energetica, ovvero di occuparci di chiedere all’industria cosa volevamo e di lasciare all’industria la scelta delle tecnologie più adatte, ora il nostro Paese avrebbe sul proprio territorio le centrali nucleari.

A questa prepotenza ci siamo opposti e abbiamo promosso il referendum sul nucleare. Gli italiani sono stati con noi ed hanno fatto bene, ora lo possiamo dire con ancora più forza.

Tuttavia né le torri eoliche, né il solare, né il geotermico, né le biomasse sono in grado di assicurare – allo stato – tutta l’energia di cui il Paese ha bisogno, né sembra vi sia un piano o un progetto ingegnoso che possa rispondere interamente a questo fabbisogno. Come potrebbe essere altrimenti, a fronte di un così esiguo investimento nella ricerca o nell’industria del settore? Io sono un ricercatore in chimica all’Università La Sapienza: potete credermi se vi dico che ho bussato a tutte le porte della città e della Provincia, private ed istituzionali, per chiedere finanziamenti.

In Italia pochi sanno che alcuni scienziati dei Politecnici di Torino e di Milano hanno messo a punto un progetto di produzione di energia attraverso lo sfruttamento dei venti di alta quota. E’ un progetto collaudato, che ha concluso la fase di ricerca ed è pronto per la fase di progettazione industriale. La promessa è quella della produzione di tanta energia pulita a basso costo. E’ un progetto frutto dell’ingegno italiano, che suscita l’interesse internazionale. Ma non quello della nostra industria e della nostra politica. Questa occasione non va sprecata: è urgente che se ne approfondiscano le potenzialità ed eventualmente le condizioni per la sua realizzazione.

La Provincia di Roma può avere un ruolo di spinta e sostegno alla scelta della installazione di impianti di energia rinnovabile attraverso il Piano Energetico Provinciale. I 121 Comuni del Lazio possono e devono trovare nell’istituzione della Provincia lo strumento che porti alla definizione di linee guida nel settore dell’utilizzo, degli incentivi, della ricerca e dello sviluppo.Il 2020 non è lontano. Mancano solo undici anni.

MOBILITA’

Metropolitane sotterranee solo dove sono realmente indispensabili

Non vi è alcun dubbio circa il fatto che nella città di Roma le metropolitane sotterranee sono fondamentali ed insostituibili. Insieme con le ferrovie metropolitane di superficie esse devono assicurare lo scheletro fondamentale del sistema della mobilità. L’obiettivo che la città di Roma si deve porre per i prossimi 6-7 anni è dunque quello di completare il sistema fondamentale di trasporto pubblico in sede riservata i tutti quadranti della città. Non si deve però esagerare e pretendere che ogni quartiere della città, o quasi, debba essere servito da una metropolitana sotterranea. Anche perché le metropolitane sotterranee sono estremamente costose da realizzare. Un mezzo di superficie, che eventualmente, ove necessario, può andare sottoterra per brevi tratti, costa molto meno. Si devono quindi prendere in considerazione tutti i mezzi di trasporto pubblico disponibili: metropolitane sotterranee, lì dove siano realmente indispensabili o tali da non costare cifre gigantesche e fuori portata, poi ferrovie metropolitane di superficie, tram (sia su binari che su gomma a guida elettromagnetica), autobus, taxi collettivi, ecc. Non vi è dunque necessità che le metropolitane sotterranee abbiano uno sviluppo eccessivamente lungo, arrivando fino alle estreme periferie. L’importante è che tutti i fondamentali quadranti della città siano serviti da una linea metropolitana sotterranea.

Ferrovie di superficie

Le ferrovie di superficie che collegano Roma al suo hinterland devono essere tutte trasformate in ferrovie metropolitane ad alta frequenza di passaggio. I treni devono essere formati da un numero maggiore di vagoni. Oggi le linee FR1, FR2, FR3 ecc. hanno una frequenza di un treno ogni 15 minuti e ciascun treno è costituito da 4 vagoni. Noi dobbiamo chiedere CON FORZA che ciascun treno abbia almeno 7 vagoni (invece di 4) e che le frequenze di passaggio siano portate a un treno ogni 8 minuti, equivalente a 7,5 passaggi l’ora per direzione. Questo significherebbe quasi triplicare la capacità di trasporto oraria. Inoltre, occorre realizzare su ogni vagone la terza porta: attualmente esistono solo 2 porte su ciascun vagone e questo allunga di molto i tempi di salita e discesa dei passeggeri in ciascuna stazione. In pratica ciascun treno dovrebbe poter portare circa 1200 passeggeri, di cui circa 812 seduti e circa 388 in piedi. Si realizzerebbe quindi una capacità di trasporto pari a 1200x7,5=9000 passeggeri/ora/per direzione. Oggi siamo fermi a circa 3000 passeggeri/ora/per direzione.

E’ però necessario liberare le attuali linee ferroviarie interne a Roma (anello ferroviario, ecc.) dal traffico dei treni merci. Per raggiungere questo obiettivo occorre costruire una bretella ferroviaria a Nord analoga e parallela a quella autostradale realizzata alla fine degli anni Ottanta tra Fiano e San Cesareo. Un’altra bretella ferroviaria andrebbe realizzata per il collegamento della ferrovia tirrenica Pisa-Grosseto-Civitavecchia-Roma con la ferrovia Roma-Frosinone-Cassino-Napoli e Roma-Formia-Napoli.

Nuove tecnologie ferroviarie

Perché non prendere in considerazione l’ipotesi di realizzare ferrovie a levitazione magnetica, come quelle che in Cina e Giappone sono operative da anni, per il collegamento tra le città satellite e le aree centrali di Roma? Queste ferrovie potrebbero assicurare con relativa facilità velocità di 160-170 chilometri orari con confort totale. Le nuove città-satellite diverrebbero in questo caso enormemente appetibili…

LE ASSISTENTI FAMILIARI: IL NUOVO SERVIZIO SOCIALE

il quadro di riferimento

In Italia l’intervento pubblico riconosce principalmente due aspetti della non autosufficienza:

· la tutela del reddito derivante dalla impossibilità di lavorare;

· la necessità di assistenza domiciliare.

e prevede due sistemi di intervento:

· l’indennità di accompagnamento, di circa 450 € mensili, che viene data a chiunque venga certificata una disabilità totale indipendentemente dall’età e dal reddito. Sono circa un milione, la maggior parte anziani, per una spesa totale di circa 8 miliardi di euro all’anno, erogate dall’Inps, avulse dal contesto delle politiche sociali territoriali;

· l’assistenza locale fornita dai Comuni. Per averla, non basta la condizione di grave non autosufficienza, ma devono essere riconosciuti anche requisiti di povertà economica e di scarso sostegno familiare. Comunque il servizio è erogato per poche ore alla settimana, spesso un tempo assolutamente inadeguato a rispondere alle esigenze del malato e dei suoi familiari.

I limiti assolutamente da correggere in questa impostazione sono essenzialmente due:

· Nel nostro Paese non c’è nessuna connessione tra l’indennità di accompagnamento che viene percepita e la reale istituzione di un progetto assistenziale: spesso tale somma viene utilizzata esclusivamente come integrazione del reddito.

· L’ammontare dell’indennità di accompagnamento permetterebbe comunque solo in parte di soddisfare le esigenze assistenziali di una persona non autosufficiente, per questo spesso le famiglie tendono ad alimentare il lavoro nero, ovviamente per contenere i costi, ma soprattutto perché non costrette a rendicontare le spese sostenute.

Il lavoro privato di cura

Il nuovo contratto nazionale, in vigore dal primo marzo 2007, ha introdotto diverse novità tra cui l’innalzamento dei minimi retributivi per le assistenti familiari, con aumenti superiori al 30% rispetto al vecchio contratto. Per molte famiglie i costi di assunzione, soprattutto se co-residente, sono diventati estremamente onerosi. I costi per un’assistente familiare convivente variano, contributi compresi, tra i 1.000 e 1.300 euro al mese, a seconda del livello a cui si colloca. Se si aggiungono le spese di vitto e alloggio il totale si avvicina ai 1500 euro mensili. Una badante meno competitiva porta a prevedere un aumento del mercato nero, consolidando così la collusione tra datore di lavoro e lavoratore all’evasione.

SVILUPPO AUTO-IMPRENDITORIALITA’

Un altro aspetto da sviluppare è rappresentato dalla evoluzione distorta del mercato del lavoro privato di cura: quasi tutte le famiglie ricercano personale disposto a convivere con l’anziano, una specie di tuttofare disponibile 24 ore su 24, mentre solo le figure professionali di più scarso profilo, in genere stranieri appena arrivati in Italia, con una scarsa o nulla conoscenza dell’italiano, in genere senza una dimora, si rendono disponibili. Si pensi ad esempio che solo il 3 per cento delle assistenti familiari iscritte nel registro del Comune di Roma è disponibile alla co-residenza.

Questa evidente diminuzione delle assistenti familiari disposte alla co-residenza è rilevabile in diversi territori e segnala un processo di integrazione delle assistenti familiari nel tessuto sociale: perché sempre più si ha un alloggio autonomo, e perché crescono i ricongiungimenti familiari. Insomma, le badanti lentamente si integrano nella società, preferendo così il lavoro a ore, che se ben organizzato produce entrate vicine alla co-residenza. Ne consegue il fatto che la domanda di assistenza sulle 24 ore rimanga via via scoperta, con un probabile aumento di richieste di ricovero in strutture residenziali, da parte delle famiglie, oppure con un immotivato ricorso a ricoveri ospedalieri.

Una risposta potrebbe risiedere nel favorire l’occupazione regolare di donne operanti come assistenti familiari, attraverso un percorso di auto-imprenditorialità.

L’iniziativa prevede un percorso di formazione della durata di circa 100 ore, finalizzato a creare una "impresa di badanti". Lo svolgimento di un’attività in forma d’impresa associata permetterà alle lavoratrici di ripartire equamente i carichi di lavoro, garantendo anche la flessibilità necessaria a conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Anche per gli utenti sono previsti alcuni vantaggi: facilitata la ricerca di personale e garantita l’affidabilità dello stesso; coperta, con l’alternanza di più persone, l’assistenza per 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana.

PROGETTO PILOTA

Per ovviare alle storture del sistema si potrebbe finanziare un fondo destinato a:

· inserire le assistenti familiari nella rete dei servizi sociali;

· vincolare in modo indissolubile l’erogazione dell’indennità di accompagnamento e il piano assistenziale;

· qualificare e responsabilizzare le assistenti familiari attraverso corsi di formazione e favorendo la nascita di cooperative di donne;

· far emergere il lavoro nero.

La proposta intende inserire le assistenti familiari, qualificate, nella rete dei servizi sociali. La platea dei beneficiari coinciderà con chi gode dell’indennità di accompagnamento, perché in questo modo si coinvolgono persone giudicate non autosufficienti da una commissione multidisciplinare che applica regole di legge. Tale indennità però non sarà più erogata come monetizzazione del disagio quindi non potrà più essere vissuta dalle famiglie come un’integrazione del reddito, né alimentare il lavoro nero.

Di fatto si propone un patto alle famiglie interessate: verifichiamo insieme il bisogno assistenziale, in base alle condizioni dell’anziano e alla forza della rete familiare, quantifichiamo il costo necessario e assegniamo un contributo economico, che arrivi al massimo a coprire la differenza con l’indennità di accompagnamento. Il contributo non sarà più uguale per tutti, ma sarà variabile, utilizzando come principale parametro le condizioni economiche, arrivando al massimo a coprire i costi mensili di un’assistente familiare convivente, il servizio socialmente più rilevante e gravoso.

Un semplice esempio:

Se il costo del servizio necessario per risolvere il bisogno assistenziale di un anziano è di 1.000 euro al mese, la famiglia contribuirà con l’intera indennità di accompagnamento, ovvero circa 450 euro al mese. I restanti 550 euro al mese saranno concessi attingendo dal fondo costituito e saranno concessi integralmente a chi verserà in condizioni economiche deboli, oppure in percentuale decrescente man mano che il reddito familiare cresce.

Un’apposita commissione sarà incaricata di valutare le esigenze dell’utente non autosufficiente, di costruire il piano assistenziale, ovviamente suscettibile di cambiamenti futuri, e di autorizzare il soggetto a procedere all’assunzione di un’assistente familiare qualificata per il limite economico mensile deciso. L’erogazione del contributo, sarà dipendente dalla presentazione periodica della busta paga con l’applicazione dei minimi retributivi del CCNL e le ricevute dei versamenti contributivi

ACCREDITAMENTO: IL DIRITTO DI SCEGLIERE

Lo spirito iniziale del processo di accreditamento prevedeva due basi inequivocabili:

Ø l’ampliamento del numero degli Enti erogatori;

Ø il diritto di scegliere liberamente da parte degli utenti;

Ø ampliamento del numero degli utenti

ENTI EROGATORI

Attualmente vi sono distorsioni nell’accettazione delle domande di accreditamento, dovute all’estrema soggettività dei parametri utilizzati, di cui si segnala l’abuso in particolare di quello che concerne la consistenza della rete attivata. L’Ente gestore che si candida è tenuto a produrre, al momento della presentazione della domanda di ammissione al registro degli organismi accreditati, le modalità e le procedure adottate, per costruire relazioni di rete con altre realtà, di cui deve produrre un impegno firmato.

Vista la vaghezza del parametro, appare evidente la soggettività che impedisce la massima trasparenza necessaria.

DIRITTO DI SCELTA

Proponiamo un modello assolutamente identico a quello adottato nel caso dei medici di famiglia. Ora questa scelta è fortemente frenata da procedure burocratiche che disincentivano le famiglie ad usufruire del loro principale diritto, anche per timore di perdere un servizio, che seppur insufficiente è gratuito.

A tal fine appare prioritario individuare procedure snelle, anonime e veloci attraverso le quali l’utente possa concretizzare il diritto di scelta. Ad esempio si potrebbero adottare moduli estremamente semplificati, senza prevedere alcuna motivazione specifica e alcun confronto tra l’utente e gli operatori ai quali era stato assegnato il servizio e garantendo il silenzio/assenso dopo un limitato numero di giorni.

Talvolta si giustifica la limitazione del diritto di scelta con riflessioni di questo tipo: l’utente si trova nella difficoltà di distinguere tra un comportamento dell’operatore apparentemente disponibile, ma sostanzialmente dannoso, e un comportamento apparentemente poco disponibile, ma in realtà utile ed efficace. Basti pensare al modo in cui un anziano può percepire una condotta volta a sgravarlo da qualsiasi onere, che lo porterà nel tempo a non utilizzare le proprie forze e capacità, e una mirante invece a stimolare la sua autosufficienza, magari attraverso modi fermi e apparentemente poco amichevoli.

Queste riflessioni non devono però portare a ritenere pericoloso il diritto di scelta perché la loro forza si riduce quando esiste un soggetto pubblico in grado di definire con precisione il pacchetto servizi ottimale e in grado di controllare l’attuazione degli stessi.

AMPLIAMENTO DEL NUMERO DEGLI UTENTI

La limitata estensione dei tre mercati (anziani, minori e disabili) non sembra favorire l’operatività di un elevato numero di Enti accreditati. Infatti qualora si trovassero ad operare numerosi soggetti, ciascuno di essi si troverebbe a detenere una quota di mercato misurata in termini di utenti o fondi disponibili che non renderebbe conveniente l’accesso all’accreditamento. Ciò suggerisce la necessità di espandere il più possibile il numero di soggetti che godono dei servizi di assistenza alla persona.

Si propone quindi di ampliare la platea dei beneficiari, ammettendo utenti “paganti”, ma in modo più massiccio di come avviene oggi.

IL NOSTRO MODELLO DI ACCREDITAMENTO

Il nostro modello di accreditamento prevede al centro un utente, e i suoi familiari, che, una volta che ha ricevuto l’attivazione del servizio dai servizi sociali del Municipio di residenza, riceve le “offerte” dagli Enti accreditati, interessati a prendersene carico.

La concorrenza fra le imprese sociali può realizzarsi sia attraverso l’erogazione dei medesimi servizi per un maggior numero di ore da quello indicativamente previsto dai Servizi Sociali, sia proponendo servizi aggiuntivi, personalizzati e di maggiore qualità.

In tal caso l’utente, opportunamente informato di tutte le possibili variabili, effettuerà una scelta consapevole che potrà essere comunque cambiata in modo snello e senza apporre nessuna giustificazione ogni volta che lo riterrà opportuno.

A maggior ragione l’utente, a cui viene richiesto di contribuire economicamente, troverà modo di raccogliere il maggior numero di informazioni ed offerte per personalizzare un servizio che comunque in maggior o minor misura pagherà.



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