In Cina esistono ben 68 tipologie di reati che vengono puniti con la morte. Un’enormità . Si prenda “Cina, traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte”, libro di faticosa e dolorosa lettura curato dalla Laogai Reseach Foundation, e pubblicato da Guerini e associati (pagg.206, 21,50 euro). Il libro pubblica un’appendice fotografica. Un paio sono agghiaccianti, più delle altre. Ritraggono un’adolescente. Si legge nella didascalia della prima: “Una bambina col cartello dei suoi crimini al collo, condotta all’esecuzione”; la seconda: “Un poliziotto sta per sparare, l’altro è piegato in avanti per schivare il proiettile e tiene ferma la bambina”. Quale reato potrà mai aver commesso, quella ragazzina per essere stata punita con un proiettile esploso in testa?
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Qualche giorno fa, nella sua rubrica sul “Foglio”, Adriano Sofri ha scritto che ci sono pensieri che è vergognoso ti vengano in mente; ma ci sono momenti in cui è ancora più vergognoso se questi pensieri non ti vengono. Si riferiva a una vicenda che non ha nulla a che fare con la Cina, la pena di morte, l’espianto degli organi; ma leggendo il libro curato dalla Laogai Research Foundation ho avuto uno di questi pensieri “vergognosi”. Ho pensato: cosa sarebbe accaduto se il libro fosse invece di Cina, “Stati Uniti, traffici di morte”; oppure: “Il commercio defli organi dei condannati a morte in Israele”? Se invece di praticare un espianto di organi di massa, illegale e clandestino nei confronti di migliaia di condannati a morte, la stessa cosa accadesse in Texas o in Arizona per due o tre detenuti, o in Israele? Proviamo a immaginare: proteste, cortei, denunce, manifestazioni, servizi giornalistici, appelli, mobilitazioni… Accade in Cina, e tutto ciò non accade, silenzio, indifferenza. Eppure si sta parlando di qualcosa tra ottomila e diecimila condanne a morte ogni anno, che sono già di per se un qualcosa di orribile. Lo sgomento aumenta nell’apprendere che questi condannati sono una sorta di vivaio. Non li si uccide, e poi si espianta l’organo; piuttosto li si “alleva” e poi li si uccide perché serve l’organo; che poi si vende a caro prezzo:
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“Il problema principale è il mercato organizzato nato attorno al disperato bisogno di organi. Le persone che noi chiamiamo brocker o agenti di viaggio, lucrano sulla malattia di questi individui e sulla morte dei prigionieri…chiedono cifre che oscillano da fra 30.000 e 40.000 dollari…sono loro a ricavare il maggior profitto”.
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Harry Wu, nella prefazione al libro, scrive:
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“Ancora oggi migliaia di reni, fegati e cornee di condannati a morte sono venduti sul mercato degli organi umani in Cina e nel mondo, e rappresentano una fonte di alti profitti per gli ospedali, la polizia e l’elite del Partito comunista cinese…Perché la comunità internazionale non interviene e non prende iniziative decise per impedire questi crimini?”.
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E’ un libro che racconta, letteralmente, cose inaudite:
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“Dal 1999 il movimento dei Falun Gong denuncia le migliaia di esecuzioni capitali ed espianti di organi alla comunità internazionale. David Kilgour, ex membro del Parlamento canadese, con David Matas, avvocato, ha pubblicato nel luglio 2006 un rapporto sulla “Conferma di espianti di organi a praticanti del Falun Gong…Almeno 1045 sono i laogai, i campi di concentramento dove sono costrette al lavoro forzato milioni di persone a vantaggio economico del regime comunista e di numerose multinazionali che investono o producono in Cina. Centinaia di migliaia sono gli aborti e le sterilizzazioni forzate. La persecuzione sistematica contro i credenti di tutte le religioni e l’abuso della psichiatria a scopo politico-repressivo mietono ogni giorno le loro vittime…” (pagg.13-16).
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Sulla base di una documentazione rigorosa e inoppugnabile, si raccolta quella che è una colossale barbarie. Una barbarie che si consuma anche perché in troppi si finge di non sapere; o non si viene messi in condizione di sapere.
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Laogai dovrebbe diventare una parola di uso comune, come Lager o Gulag; non si dovrebbe ignorare che in Cina esistono oltre un migliaio di Laogai, di campi di concentramento per prigionieri, e che tantissimi prodotti cinesi che noi consumiamo, dal the alle scarpe di gomma, sono il risultato del lavoro di questi schiavi.
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Harry Wu, che ha votato la vita per la causa della libertà del suo popolo e del suo paese, ci dice che negli Stati Uniti c’è una lista di prodotti i cui componenti arrivano dai circuito del Laogai che vengono bloccati alla frontiera. Poi, certo, spesso si trova il modo per “passare”; ma almeno un principio e una regola ci sono. Nulla di simile ha fatto l’Unione Europea. Forse bisognerebbe pensarci.
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Harry Wu ci dice che il 95 per cento almeno degli organi utilizzati nel 2006 per i 13mila trapianti vengono da condannati a morte. Il suo libro contiene le testimonianze di medici cinesi, coinvolti in questo traffico. Un libro prezioso e agghiacciante:
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“I medici sono diventati complici del sistema delle esecuzioni, un sistema che opera non per preservare la vita, ma per manipolare la morte a servizio dei trapianti. Utilizzando oragni prelevati dai prigionieri giustiziati, non è possibile evitare questo compromesso dell’etica medica e non riconoscere la violazione dell’antica massima di non arrecare danno. Malgrado si riveli drammatico il bisogno di organi, i medici non dovrebbero trasformarsi in boia e gli ospedali in camere della morte dove praticare le esecuzioni”.
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A seconda delle esigenze degli ospedali si può decidere chi deve morire subito, e chi invece può aspettare. Un libro che racconta una realtà terrificante. Libro che conferma la necessità , l’urgenza, di creare un format, uno spazio fisso e non episodico nella televisione di Stato, dedicato alle questioni dei diritti civili ed umani.
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Si vada alla pagina 129 e seguenti, l’indice delle opere citate. Un lungo elenco di opere, studi, ricerche francesi, americane, inglesi, cinesi, giapponesi, non uno solo è italiano. La cosa dice tutto.  Â