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Poca dimestichezza con la grammatica e anche con l’ortografia ha evidentemente determinato le reazioni
all’insignificante frase di Bersani che ha espresso la sua ammirazione per i professori(«eroi», ed è opinabile) e la sua critica al ministro Gelmini («rompicoglioni», ed è certo, dal punto di vista dei professori). Reazioni di donne soprattutto, per lo più politiche, espressione rara di ipocrisia e perbenismo, del tutto sproporzionate e immotivate, con riferimento alla ovvia e spontanea, certo non indelicata, espressione. Sbagliata, o impropria, perché la Gelmini è una donna? «Rompicoglioni» non è un insulto e neppure un’offesa; è una constatazione in determinate circostanze, indipendentemente dal sesso di chi ne assume o ne esercita il ruolo, non infrequentemente una donna, una moglie, una capufficio.
«Rompicoglioni», sul piano lessicale, poi, ha una portata così ampia e una percezione così estesa, che tutte le indignate per l’espressione di Bersani (sia lode alla Bindi, e alla stessa Gelmini, che si sono sottratte al coro delle querelanti) la pensano e la usano decine di volte in una giornata, semplicemente per indicare un fastidio anche lieve che viene dalle più disparate fonti, anche da un bambino (o bambina) che piange.
Nonostante l’evidenza, il campionario delle reazioni ipocrite, in nome del politicamente corretto, è impressionante, e insistente nel rimproverare la voce dal seri sfuggita, pertinentemente nell’esatta formulazione, di Bersani. Si va dalla «professoressa» Serracchiani che vuole marcare la differenza culturale e antropologica (nel caso, inesistente) tra destra e sinistra (ma quante volte, per come li conosco, D’Alema, Cacciari, Di Pietro e anche Pajetta e Berlinguer avranno pensato e detto, nelle più svariate circostanze, «rompicoglioni»?
Almeno altrettante di Feltri e La Russa, e certamente più di Bondi e Capezzone). E Pannella (grande rompicoglioni che a tanti ha dato dei rompicoglioni), dove lo mettiamo? Ma la Serracchiani non ammette giustificazioni: «Il Pd deve cambiare il proprio modo di comunicare.
Ma non è con il turpiloquio che ci faremo capire. Così rischiamo solo di somigliare ai nostri avversari, che hanno fatto dell’aggressione la propria linea politica». Dalla Serracchiani alla Concia, l’« amica» della Carfagna, che non sa trattenere il suo turbamento ed esprime tutta la sua emotività ; si dice in «imbarazzo», «rattristata»: «ma cos’è, il nuovo stile del Pd? Vorrei conoscere il creativo che dà questi consigli a Bersani» (sfidando il ridicolo, la Concia finge di non sapere che per dire «rompicoglioni» non occorrono consigli). E ancora: «La Gelmini sta facendo disastri e noi dobbiamo dirlo forte ma non è questo il modo.
Se il ministro fosse stato un uomo, Bersani quella battuta davanti all’Italia non l’avrebbe fatta... I democratici hanno il dovere di usare un altro stile, un linguaggio diverso da quello dispregiativo adottato da Berlusconi». Oltre il ridicolo va Vittoria Franco, che risale al «plagio» berlusconiano della mia battuta sulla Bindi, «più bella che intelligente», con una doppia ramanzina e un’ulteriore sottolineatura sulla differenza tra uomo e donna nella funzione neutra, o ambosex, del «rompicoglioni» : «Tutti vorremmo che la politica si esprimesse con un linguaggio civile, purtroppo non è così. Berlusconi offese la Bindi in quanto donna che fa politica». Bersani, con rammarico della Franco, sembra averlo seguito, «insultando» un ministro donna.
Ma il riferimento non è direttamente o letteralmente sessuale, perché la «rottura» è oggettiva e si procura, per somma ironia lessicale, anche a chi non ce li ha. Anche una donna pensa «rompicoglioni» e se li sente rotti pur non avendoli, trattandosi di coglioni della mente; tanto più che di una donna determinata si dice, per lodarla, e non per offenderla, forse con residuo maschilismo, che «ha i coglioni». La Bindi, fintamente offesa, vuole replicare alla formula sgarbiana (credo elaborata vent’anni fa in concerto con Martinazzoli), rinverdita da Berlusconi, con un infelice, eppur subito lodato, richiamo alla sua identità femminile mortificata (diverso sarebbe stato infatti il «più bella che intelligente» all’indirizzo della Carfagna): «Non sono una donna a sua disposizione», rischiando la reazione automatica, imperdibile, se avesse avuto prontezza di riflessi, di Berlusconi: «Per fortuna», «ma chi ti vuole?», «meno male» (a scelta). Rischi dell’incapacità di sorridere senza irrigidirsi in dichiarazioni di principio. Adesso è la volta di Bersani, di cui nessuno ha criticato l’impropria ed esagerata definizione di «eroi» per i professori, i quali hanno certamente condiviso il giudizio sulla Gelmini, tecnicamente «rompicoglioni» in quanto ministro e fisiologicamente in quanto donna (come molti pensano e alcuni dicono). E proprio i professori avrebbero potuto spiegare che «rompicoglioni» non va inteso in senso letterale, come rottura fisica dei coglioni, ma come «metafora morta» che, in linguistica, vale per dire una condizione con riferimento a un’altra (per esempio, «il cavallo dei pantaloni», che vale per la postura rispetto a un cavallo che non c’è). Anche Bersani sa dunque che la Gelmini non rompe, letteralmente, i coglioni, ma rompe altro: abitudini, privilegi, interessi (può dirsi anche, e non ci sarebbe stata polemica, «rompiscatole», con un eufemismo diffuso e impreciso: quali «scatole»?). Ci si scandalizza della parola, del riferimento genitale, ma se ne condivide la sostanza, il concetto. E allora? Chi non pensa (fra gli stessi ministri, e certo anche la Gelmini) che Tremonti è un «rompicoglioni»?
Onore al compagno Bersani che ha avuto il coraggio dire la verità , e ha trovato un gruppo di rompicoglioni, che, nel rimproverarglielo, hanno dimostrato e confermato che aveva ragione, non sulla Gelmini soltanto, ma su di loro, indiscutibilmente «rompicoglioni». Ha avuto più fortuna, anche a sinistra, un informale Fini che, a un’assemblea di studenti, disse: «Stronzo» a chi è xenofobo, guadagnandosi consensi. Dove erano i «rompicoglioni» del «non si dice» e del «chieda scusa» per il linguaggio.
Stranamente, nessun professore ha indicato il vero errore di Bersani, anzi di quelli che hanno predisposto il podio sul quale campeggiava la ridicola scritta: «Prepariamo Giorni Migliori per l’Italia». E l’ortografia?Passi per la maiuscola, in apertura di frase, a «prepariamo», ma perché anche al sostantivo semplice «giorni» e all’aggettivo «migliori»? Anche nella più ottimistica delle aspirazioni non si scrive con la maiuscola neppure l’«universale» del Giudizio, che è certamente un giorno importante. Le maiuscole vanno ai nomi propri, non a buone o migliori giornate, probabilmente improprie, certamente improbabili. Tanto rumore, di rompicoglioni, per «rompicoglioni»; nessun rimprovero, di professori, per un errore.