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Pd e Radicali ai ferri corti. Scontro sulla candidabilità

• da L'Opinione del 26 maggio 2010

di Alessio Di Carlo

 

Il rapporto, già burrascoso, tra Pd e Radicali si è ulteriormente deteriorato per l’iniziativa dei primi di presentare una proposta di legge che sancirebbe l’incandidabilità a deputato e senatore di chi abbia riportato condanne penali definitive. Per i radicali – che per protesta si sono sospesi dal gruppo democratico – si tratterebbe di una norma testa ad impedire la candidatura proprio di Marco Pannella. È noto infatti che il leader storico dei radicali – ma anche Benedetto Della Vedova, Rita Bernardini – è stato processato, e condannato, per episodi di cessione di droghe leggere avvenuti pubblicamente e platealmente al fine, evidentemente, di contestate il contenuto della norma: insomma, il metodo non violento che tutti conoscono e riconoscono meno che, evidentemente, gli esponenti democratici. A nessuno verrebbe mai in mente di considerare Marco Pannella come un pericoloso e noto spacciatore di droga. Ma – si obietterà – quello del leader radicale è un caso isolato – o quasi – mentre la quasi totalità dei condannati, violando la norma, non pensa certo a porre in essere manifestazioni nonviolente. L’obiezione è giusta ma non coglie nel segno o, se si preferisce, il male è ben individuato mentre la cura è sballata. Il bando della matassa, infatti, non passa dalla candidabilità o meno del soggetto, ma, più semplicemente, dal sistema elettorale adottato. Se i cittadini fossero (e, auspicabilmente, torneranno ad essere) messi in condizione di scegliere – col collegio uninominale o con le preferenze – da chi essere rappresentati, quello della non candidabilità tornerebbe ad essere un non problema. E se un pericoloso e conclamato stupratore dovesse sottoporsi al giudizio dei cittadini, con ogni probabilità verrebbe bocciato. Non così, come dicevamo prima, con uno come Marco Pannella o per quanti, come lui, hanno contestato l’opportunità della norma pretendendone l’applicazione, al punto di arrivare all’autodenuncia o alla denuncia preventiva. E siccome, almeno stando alla dichiarazione di intenti, i democratici sembrerebbero esser favorevoli a restituire il diritto di scelta dell’eletto all’elettore, lascino perdere la materia della candidabilità o, meglio ancora, appaltino il lavoro sporco al giustizialista della coalizione. Averci un Di Pietro nel carniere e non approfittarne sarebbe un gran peccato.


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