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E il Cavaliere citò il Duce

• da La stampa del 28 maggio 2010

di Ugo Magri

 

La dico? Massi, la dico.  Anche se è di una scorrettezza politica assoluta? E chi se ne importa... Ragionamenti frullati nella mente di Berlusconi in un picosecondo.
Quella pausa quasi impercettibile che sempre precede certe sue esternazioni, le più spericolate. Questa riguarda Mussolini, citato in un consesso internazionale (la riunione ministeriale Ocse) che il nostro premier è venuto a presiedere nella capitale francese, portandosi dietro il cuoco Michele per preparare la cena con «pennette tricolori» offerta agli altri capi di Stato e di governo. Il Cavalier Silvio sul Cavalier Benito, dunque: tutti e due sopravvalutati dalla gente, entrambi reputati onnipotenti, come se in tasca avessero la bacchetta magica. Invece non è così, protesta amaro Berlusconi. Magari fosse. Gli domanda un giornalista dell’Estonia se questa crisi finanziaria non rischia di intaccare il potere dei governanti. E lui si dichiara anzitutto «fortunato» poiché, spiega, nonostante la manovra dei sacrifici «il mio consenso resta superiore al 60 per cento». Ciò premesso, ecco la confidenza: «Non ho mai avuto la sensazione di
trovarmi al potere. Anzi, per l’esattezza, quando facevo l’imprenditore talvolta l’ho provata». Emozione antica, sospira Berlusconi, poiché adesso «sono al servizio di tutti, chiunque mi può criticare e insultare». Per esempio, giusto ieri non l’ha fatto impazzire la relazione della Marcegaglia in Confindustria, così avara di riconoscimenti. Altri attribuiscono questo senso di frustrazione berlusconiano al carattere
ineluttabile della manovra, «per esempio lui non voleva colpire gli statali, però l’Europa ce l’ha costretto e lui si dispiace assai».
Qui c’è l’attimo di suspense, seguito dal tuffo nella Storia: «Oso citarvi colui che era ritenuto», tesi opinabile si capisce, «un grande dittatore, Benito Mussolini. Nei suoi diari ho letto recentemente questa frase», che il premier cita a memoria (Bonaiuti nega essere la prima volta, in pubblico il portavoce ne rammenta almeno un’altra). Dice il Duce berlusconiano: «Sostengono che ho potere, non è vero. Forse ce l’hanno i gerarchi, ma non lo so. Io so solo che posso ordinare al cavallo vai a destra o vai a sinistra, e di questo posso essere contento». Morale del premier: «Il potere, se esiste, non esiste addosso a quelli che reggono le sorti dei Paesi. Chi è in questa posizione, di potere vero non ne ha nulla...». Nella sala della conferenza stampa regna l’aria, attonita, che segue le gaffe mondiali con Silvio protagonista (quella del «kapò», l’altra sull’Islam, e le corna, e l’Obama «abbronzato», e il rimbrotto della Regina). Ma non di gaffe stavolta si tratta. Anzi. Berlusconi, spiega uno dei suoi più fidi scudieri, voleva proprio dire: «Se perfino quello, cioè Benito, non aveva sufficiente potere, figuriamoci se posso averlo io, che siamo in democrazia. Dunque non pigliatevela con me se c’è da salvare l’Euro, se la Grecia ci impone sacrifici, se l’economia non gira come dovrebbe...». Citare Mussolini fa comodo al premier per rafforzare il concetto, cosicché se ne discuta nei bar, sui luoghi di lavoro, e passi l’idea che davvero non ci si può fare nulla, i sacrifici ce li dobbiamo tenere e basta.
Netanyhau, premier israeliano, capisce al volo dove va a parare l’amico Silvio. Ne sposa la tesi senza formalizzarsi sul Duce, «come governi non siamo abbastanza forti da opporci ai mercati», riconosce. Tuttavia, aggiunge, con le formule di unità nazionale si fronteggia meglio la situazione. Fate così anche voi, è il consiglio indiretto. Ma non sia mai, replica Berlusconi ai cronisti, «abbiamo una vasta maggioranza, una cosa del genere non ci serve». Per caso, gli viene chiesto, sarebbe Tremonti un gerarca di quelli davvero potenti?, fugge il Cavaliere, «il potere vero non ce l’hanno nemmeno i ministri dell’Economia».


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