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Fischi a Giuliano Amato, fischi a Pier Ferdinando Casini, fischi a Rocco Buttiglione. Contestato Giuseppe Pisanu, come Pietro Lunardi. Poi è toccato a Giulio Tremonti, a Cesare Damiano, a Gianfranco Rotondi. E per ultimo, l’anno scorso, a Sandro Bondi. Negli ultimi dieci anni, sul palco del ricordo della strage di Bologna, la protagonista è stata l’invettiva. Da qualunque schieramento provenisse il ministro di turno. Quest’anno non sarà così: nessun rappresentante del governo prenderà la parola in piazza. Solo un discorso ai parenti delle vittime in consiglio comunale, al riparo dalle proteste. Un modo per sottrarsi al rito degli improperi anti governo. Ma quel vuoto sul palco può apparire anche come la rinuncia a raccogliere, coltivare, promuovere e rappresentare con il proprio volto e le proprie parole l’invito che anche pochi giorni fa, citando i terribili giorni dell’estate 1980 tra Ustica e la stazione di Bologna, ha fatto il presidente Napolitano: dare nuovo impulso alle indagini, su quegli «intrecci eversivi» e le «opacità di corpi dello Stato» che hanno impedito di fare in fondo giustizia sulle stragi d’Italia.
Sono stati proprio i familiari degli 85 morti e dei 200 feriti a chiedere di cambiare il cerimoniale del corteo, dei discorsi davanti alla stazione, del fischio del treno alle 10.25, l’ora dell’esplosione. Perché ogni anno l’attenzione finiva per essere dedicata più alle contestazioni che alle mancate risposte che i parenti si aspettano dallo Stato dal 1980. Le proteste e gli slogan sono la rappresentazione sonora del rifiuto di cancellare la memoria oscura di quegli anni. La condanna dei neofascisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini non ha colmato il vuoto di verità su questo eccidio. Sono rimasti sconosciuti i mandanti, gli intermediari, i procacciatori del tritolo.
E’ comprensibile il timore dei familiari di ripetere giornate sempre uguali tra le salve dei fischi. Dà invece un effetto di smarrimento l’assenza prevista del discorso di un uomo del governo dal palco del 2 agosto. In una piazza più silenziosa e ordinata, ma che rappresenterà meno l’Italia dei dubbie delle verità mancate che ancora vanno ricercate.