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Sarebbe miope sottovalutare la freddezza che i «suoi» imprenditori hanno riservato ieri a Silvio Berlusconi quando ha proposto di votare in diretta per Emma Marcegaglia ministro dello Sviluppo economico. Gli esponenti di Confindustria hanno preso le distanze non dalla loro presidente ma dal capo del governo. Si tratti o no di un incidente cercato, l’episodio può diventare uno spartiacque. E come se il fondatore del Pdl ormai fosse considerato in primo luogo un politico che gli industriali magari continuano a preferire alla sinistra, ma senza più identificarsi completamente con lui.
Il segnale proviene da uno spezzone importante ma limitato della classe dirigente: va dunque analizzato con cautela. Berlusconi si premura di far sapere che nonostante i sacrifici il suo gradimento sarebbe «oltre il 60 per cento». Eppure la crisi economica ed il raccordo con l’Ue sottolinea il ruolo del ministro dell’Economia; e mostra invece un premier costretto a giocare su un terreno che gli è poco congeniale e che attraversa con qualche resistenza: per esempio negando una riduzione delle province.
Il lapsus della Marcegaglia, che nel testo scritto ringrazia Tremonti, includendo il premier solo nel discorso a braccio, è rivelatore. E la reazione piccata di Berlusconi al suo rifiuto di fare il ministro conferma un rapporto da ricalibrare.
Se Palazzo Chigi non può contare sugli imprenditori, «allora non potete prendervela più con il governo». Più tardi, da Parigi il premier ha perfino paragonato le frustrazioni del dittatore fascista Benito Mussolini, che nei diari si lamentava di contare poco, con le sue. Ricordando che la manovra da 24 miliardi di euro in due anni è stata concordata con le parti sociali e con gli enti locali, e che «è imposta dall’Europa», Berlusconi cerca di arginare un malumore vistoso; e di spalmare la responsabilità della crisi su tutti. Ma le sue parole segnalano anche l’imbarazzo a trasmettere messaggi impopolari; ed il timore di perdere consensi. Palazzo Chigi può contare sul centrodestra; e forse su un’Udc che chiede di «remare tutti insieme». E soprattutto su un capo dello Stato come Giorgio Napolitano che non si stanca di chiedere «condivisione» e di ragionare sui tempi lunghi. Ma il centrosinistra rimane ostile alla manovra. E le tensioni fra Lega e settori del Pdl non aiutano. Berlusconi esorcizza l’ipotesi di maggioranze diverse. «Non ne abbiamo bisogno», ribadisce. Eppure la crisi potrebbe rendere necessario un nuovo schema.