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C’è chi (Diamanti) su "La Repubblica" scrive che il regime mediocratico berlusconiano ha fretta di bloccare, con la legge Alfano, le benemerite intercettazioni, e c’è anche chi (Ricolfi) su "La Stampa" riflette sulla reale posta in gioco, che non è la libertà di stampa come vorrebbe lo schieramento progressista, ma le inchieste sulla criminalità , a rischio a causa della stessa legge. In entrambi i casi, tuttavia, non si mette abbastanza in rilievo il singolare se non pazzesco capovolgimento della "questione intercettazioni". Non sono infatti le intercettazioni, come strumento di indagine, la vera questione. E’ la loro pubblicazione, così come sta accadendo da mesi, da anni, il vero problema, configurandosi come una autentica violazione della privacy, come un gravissimo vulnus della libertà . Rifarsi al regime personalizzato e mediatizzato imposto da Berlusconi come alla madre di tutte le distorsioni democratiche italiane - con ultima conseguenza la museruola ai giornalisti - è un alibi ripetitivo e tardivo, una iterazione del motivo conduttore delle lagnanze della sinistra incapace di capire, oltre che il fenomeno Berlusconi, il proprio paese. Non è Berlusconi che ha imposto un regime mediocratico, che non c’è. C’è invece un paese democratico che, dopo che con un’intera classe politica era stata cancellata dalle toghe (in alleanza con i media e i loro editori a rischio di manette), ha scelto lui come risposta politica credibile al vuoto creatosi.
Non fu il Cavaliere a decretare la fine dei partiti, ma il circo mediatico giudiziario, con in testa gli Scalfari, gli Occhetto, i Segni ecc. e fra gli applausi dei poteri forti che, infatti, hanno compiuto, dopo il ‘94, la rapina del secolo con le svendite dei gioielli dello stato. Berlusconi non è dunque la causa, ma l’effetto della fine del sistema dei partiti, che coincideva col Sistema Italia. Del resto, non esiste democrazia compiuta senza partiti, e Berlusconi ha dovuto crearsene uno dal nulla o quasi, aiutato certamente dalla Tv, ma le sue ulteriori conferme elettorali sono la prova provata della capacità di intercettare desideri, realtà , sogni, speranze della maggioranza degli italiani. La personalizzazione della politica non è dovuta tanto o soltanto a Berlusconi, quanto alla scomparsa dell’articolazione partitica, voluta anche dalla sinistra negli anni in cui fu miracolata dai Pm: sezioni, circoli, club ecc sono stati largamente sostituiti dalla Tv, che è diventata (anche) la rappresentazione/specchio del paese. Per fare politica si va in Tv, e, fatta salva la lega, che pure si giova delle televisioni, e in parte, i radicali (non a caso lega e Radicali sono gli unici due partiti rimasti), la militanza non è più praticata. La stessa sinistra, cioè il Pd, imposta le sue battaglie di fondo tenendosi stretti i suoi referenti radiotelevisivi (e non viceversa) di cui ha bisogno come l’aria. Dire, come si sente in giro a sinistra, che il veto sulle intercettazioni svelerebbe il retropensiero berlusconiano di non mostrare il proprio vero volto quando registrato/intercettato di nascosto, a propria, come nel "Grande Fratello" di Canale 5, significa ribaltare la questione, rifiutare la strada maestra della politica, sostituendola con la via giudiziaria al potere, col sistematico character assasination del nemico, con la sua demonizzazione mediatica funzionale ad una condanna preventiva. Col che, si ritorna sempre alla madre di tutte le antipolitiche, ovvero alla stagione dei primi ‘90, ai furori giustizialisti, ai giacobini da strapazzo.
Le intercettazioni non sono simili ai fuori onda di "Striscia" perché la vita vera non è il Grande Fratello televisivo. La vogliono fare diventare, questo sì. Tant’è vero che per indicare un regime totalitario e poliziesco, l’immortale Orwell scrisse, per l’appunto, "The Big Brother", ispirandosi allo stalinismo
allora (nel 1948) potente e imperante in mezza Europa. E non solo.