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"Anche chi è in stato vegetativo può essere cosciente"

• da la Repubblica del 7 giugno 2010

di Alberto Custodero

 

«Non si può escludere la presenza di elementi di coscienza» nei pazienti in stato vegetativo. Ma il «livello e la qualità di tali elementi di coscienza variano verosimilmente da paziente a paziente, anche in dipendenza dal contesto ambientale». Contrariamente a quanto finora sostenuto, («lo stato vegetativo è caratterizzato dalla mancata coscienza di sé e dell’ambiente»), è questa la conclusione destinata a fare discutere alla quale è giunto il "gruppo di lavoro sullo stato vegetativo e di minima coscienza" istituito dal ministero della Salute dopo il caso di Eluana Englaro. E presieduto dal sottosegretario Eugenia Rocella. All’indomani della morte di Eluana, Berlusconi - dopo aver espresso la sua contrarietà «all’eutanasia dì Stato» - annunciò che «il vuoto normativo sul tema del fine vita» non sarebbe stato più lasciato «all’interpretazione della magistratura» ma sarebbe presto stato «colmato da una legge».Proprio mentre il nuovo testo della norma sul biotestamento è in dirittura d’arrivo alla Camera, il "documento finale" del "gruppo di lavoro Rocella" (insieme al"Libro bianco" redatto dalle Associazioni), arriva a fargli da corollario tecnico-etico-scientifico. E a denunciare una grave lacuna strutturale nel sistema sanitario nazionale: «Nella maggior parte delle regioni - sostengono gli esperti - non sono stati attivati veri percorsi regionali istituzionalizzati perla corretta gestione sanitaria delle gravi cerebrolesioni acquisite». Il
trend dei malati in stato vegetativo dal 2002 ad oggi è in continuo aumento, anche se rimane ancora alto (fino al 42,3 per cento), la percentuale delle errate diagnosi. Per il futuro, dunque, si «raccomanda» l’istituzione di un «registro nazionale dei disturbi prolungati di coscienza con segnalazione obbligatoria dei casi».
Ma il punto nodale dello studio è quello che spiega come il medico, la società e l’opinione pubblica devono porsi nei confronti di questi particolari malati «con gli occhi aperti» la cui «sopravvivenza necessita di idratazione e nutrizione assistita». Ma che non sono in «coma alternando il sonno alla veglia». Quando ci si avvicina ai loro letti per curarli e studiarli, dicono i "saggi" del ministero, «si compie una scelta etica fondata sia sul rispetto della persona, sia sul duplice rifiuto dell’abbandono assistenziale e dell’accanimento terapeutico». Il che, tradotto, significa: «per rispetto della persona» non va sospesa
l’alimentazione assistita come avvenuto nel caso di Eluana («rifiuto dell’abbandono assistenziale»). Ma non bisogna ostinarsi in cure e trattamenti sproporzionati («rifiuto dell’accanimento terapeutico»), rispetto all’eventuale concreto risultato in termini di qualità ed aspettativa di vita. A tal proposito, il "gruppo di studio Rocella" è convinto che «il miglioramento dei modelli assistenziali e la ricerca scientifica
possano offrire un importante contributo per far crescere l’efficienza in sanità, al fine di garantire maggiori livelli di giustizia per tutti i cittadini fondati su principi di equità e solidarietà all’interno del corpo sociale. E per far avanzare il livello complessivo di civiltà del Paese».
Per gli esperti della commissione ministeriale (Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman), infine, questi pazienti caratterizzati dalla «mancanza di coscienza del sé e dell’ambiente», in realtà, percepiscono il dolore. Nel loro stato di «incoscienza a occhi aperti» soffrono, pertanto il "gruppo di lavoro" raccomanda di «estendere la prescrizione di antidolorifici a tutti quelli in stato vegetativo ai quali siano diagnosticate verosimili fonti di dolore come ascessi e piaghe da decubito».


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