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I dubbi del colle sulla proroga di 48 ore in 48 ore

• da La stampa del 8 giugno 2010

di Ugo Magri

 

Il Cavaliere spera di metterci una pietra sopra, anzi un macigno, in modo che di intercettazioni non si debba parlare più. Però dipende dalle ultime «limature» al testo che verranno svelate stamane all’Ufficio di presidenza del Pdl, convocato alle ore nove (per i politici romani è l’alba). Un appuntamento che, ancora qualche giorno fa, veniva annunciato còme un «dies irae», la resa dei conti tra Berlusconi e i finiani, preludio della loro cacciata dal partito. E invece adesso viene vissuto da entrambe le fazioni quasi fosse routine: niente più spargimenti di sangue, anzi grande «embràssons-nous» sulle intercettazioni. Preludio, forse, dell’armistizio tra i due cofondatori del Pdl. Dipende da Berlusconi, tuttavia. Se davvero tenterà il colpo di coda contro gli editori. E da quanto sarà disposto a modulare l’ultimo capitolo in sospeso della legge: il «tetto» massimo alle intercettazioni, 75 giorni oltre i quali il pm può prolungare gli ascolti, però a patto di esserne autorizzato dal Tribunale, cui dovrà rivolgersi di 48 ore in 48 ore con tanto di richieste e motivazioni. Questa versione è assai meno drastica di quella che Silvio ha tentato di far passare. Tuttavia rappresenta un ostacolo per le indagini, una perdita di tempo, un’inutile afflizione, perlomeno nel giudizio di molti magistrati. I quali sanno di poter contare sul sostegno autorevole di Giorgio Napolitano. Non è mistero che il «tetto» per le intercettazioni risulti ostico ai giuristi del Colle. Il Capo dello Stato vuole una legge «accettabile» per tutti. E nel giro del premier risulta che le «limature» in corso riguardano proprio questo aspetto. Intensi contatti pare vi siano tra Ghedini, Alfano e Quagliariello da una parte, i consiglieri del Presidente dall’altra. Una buona parola la mettono le due «colombe», Letta e Bonaiuti, fautori del massimo garbo istituzionale. Sul tavolo c’è l’ipotesi di raddoppiare (da 48 a 96 ore) l’intervallo tra le richieste di proroga. Se accordo sarà, i più convinti assertori ne risulteranno i finiani. Felici di avere già ottenuto un risultato che ai loro occhi è «super», una legge neppure parente del testo di origine, dunque un po’ sorpresi dalla fredda accoglienza di certe procure.
Sbaglia chi insiste a scommettere che Bocchino, Ronchi e Viespoli stamane cercheranno la rissa col premier. Semmai sarà l’esatto contrario, e i finiani non abboccheranno. Vale il pronostico di Berselli, presidente della Commissione giustizia al Senato: «Si prenderà un impegno valido per tutto il partito». A quel punto, giù il sipario. La discussione, nel parlamentino Pdl che si riunisce a casa del premier, si sposterà sulla manovra dei sacrifici, sui sondaggi di Euromedia che rasserenano il premier, sulle prospettive di riallacciare rapporti con i centristi, sulle aperture a Casini (ormai un chiodo fisso:
Berlusconi ne ha fatto una testa così perfino a Calderoli tornando in aereo a Milano, venerdì scorso).
Quello su cui il Cavaliere si cucirà la bocca, invece, è il tema di cui s’è occupato ieri ad Arcore. Dove il viavai di personaggi lombardi lascia immaginare il cruccio berlusconiano: che fare di Letizia Moratti? Ricandidarla l’anno prossimo a Milano, quando si voterà per il Comune? O risucchiarla al governo sulla poltrona che fu di Scajola, lo Sviluppo economico? Sarebbe un bel nome, dopo settimane di vana ricerca. Però la Lega ne profitterebbe per chiedere il primo cittadino della «Capitale morale». E nei prossimi dieci mesi la Moratti, che sta bene dov’è, dovrebbe tenere il piede in due staffe (via Veneto e Palazzo Marino). Molto complicato... A Villa San Martino però se ne discute. Segno che Berlusconi ancora non getta la spugna.


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