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Trasparenza sui compensi Rai, a due giorni dalla campagna lanciata dal Fatto Quotidiano, la Vigilanza "risponde": la Commissione parlamentare ha approvato all’unanimità due emendamenti, non vincolanti, al contratto di servizio tra l’azienda pubblica e il governo. Il primo innervosisce Milly Carlucci (e numerosi
colleghi) e lascia perplessi i vertici di viale Mazzini: i compensi di conduttori, opinionisti, ospiti e costi di produzione saranno inseriti nei titoli di coda dei programmi definiti di servizio pubblico. Attenzione alla postilla ‘servizio pubblico’: dentro Annozero, Ballarò e Report, fuori l’isola dei famosi e i contenitori
del pomeriggio. La seconda proposta, firmata dal capogruppo Davide Caparini (Lega nord), sembra "più equa e meno demagogica", per utilizzare le parole di Sergio Zavoli: pubblicare sul sito della Rai l’elenco delle retribuzioni lorde percepite dai dipendenti e dai collaboratori (anche i consulenti). In regola con la legge del 2007 che, recepita dal Garante della privacy, prevede la pubblicazione online degli stipendi
delle società a capitale pubblico o partecipate. E il maggior azionista della Rai è il ministero del Tesoro: "La procedura è breve e altrettanto importante: dobbiamo chiedere un parere al Garante e poi - spiega Nino Rizzo Nervo, consigliere di amministrazione - possiamo diffondere i dati, consapevoli che il sito ufficiale della Rai è più adatto". Il deputato Caparini, fondatore di Radio Padania, avvisa una decina di migliaia di persone: Abbiamo fatto nostro lo spirito della battaglia del Fatto: finalmente verrà fatta luce, capiremo come si spendono i soldi dei cittadini. La Rai dovrà pubblicare su Internet i compensi degli oltre 13.236 dipendenti con contratti Rai, di cui 11.309 a tempo indeterminato e 1.858 a tempo determinato.
E poi penso ai 12 medici ambulatoriali assunti. E fuori anche i dati dei collaboratori autonomi". Altri 150 milioni di euro, compreso l’ingaggio (minimo garantito ed extra) di Bruno Vespa e Giovanni Floris. Il senatore Vincenzo Vita conosce la Vigilanza e le sue tattiche politiche: "La notizia è l’iniziativa di Caparini, poiché l’emendamento di Butti nasce per infastidire Michele Santoro e il suo Annozero. E’ vero che abbiamo interpretato le richieste dei cittadini, ma è pur vero che avranno inciso le lettere del Fatto Quotidiano inviate ai capi di viale Mazzini". Le cifre ai sei zeri nei titoli di coda e soltanto per le trasmissioni di servizio pubblico, una minima parte, fanno riflettere Zavoli: "Avremo difficoltà a definire quali programmi rientrano nella categoria, alcuni indecenti del pomeriggio saranno esclusi". Il direttore generale Masi ha commentato in forma ufficiale: "Decisione positiva. Siamo a favore della trasparenza". E poi in privato, al settimo piano di viale Mazzini, s’è riunito con i consiglieri (anche di opposizione) per riprendere l’argomento nel Cda di oggi e mettere il cappello sull’operazione trasparenza. Il Consiglio preferisce la pubblicazione dei compensi online, non la ripetizione estenuante nei titoli di coda: "Siamo seri - aggiunge Rizzo Nervo - sarebbe ossessivo leggere e rileggere le buste paga di un presentatore, aspettare sino all’ultimo secondo. Ogni volta, ogni giorno". Onorato per i complimenti del ministro Brunetta, il deputato Butti rifiuta le sottigliezze: Abbiamo dimostrato di saper accontentare una legittima domanda che proviene dal basso: la gente vuole sapere cosa fa la Rai del suo denaro. Dell’isola dei famosi non mi interessa, posso dirle che fa schifo, basta?". Proprio l’isola dei famosi è un prodotto esterno, marchio Magnolia, una delle decine di società che lavorano in appalto per la Rai: il deputato Marco Beltrandi (Radicali) suggeriva di pubblicare (sempre sul sito) l’elenco delle imprese che, attraverso gare riservate, vincono e si spartiscono 268 milioni di euro l’anno. Suggerimento bocciato da maggioranza e opposizione. I due emendamenti (Butti-Caparini) saranno valutati dal ministero dello sviluppo economico, il depositario dell’ultima firma sul contratto di servizio e poi, l’esperienza del vecchio documento insegna, non sempre l’articolo di un testo si fa prassi. Soprattutto se la penna è in mano a Silvio Berlusconi, ministro ad interim e in conflitto di interessi ad aeternum che, appena martedì, minacciava di non firmare.