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Chi lo ha incrociato in questi giorni a viale Mazzini dice che Mauro Masi è più nervoso del solito. Si può capire perché, anche se l’ex grand commis d’Etat è abituato per lavoro a sfoderare il sorriso d’ordinanza. Le intercettazioni dell’inchiesta di Trani gli hanno incollato addosso un soprannome («Zimbabwe») che non sarà facile cancellare.
Il direttore generale ieri con una lettera ha annunciato querela al Riformista, colpevole di avere definito una «Caporetto» la sua gestione dei casi Ruffini e Santoro e di averlo individuato come l’anello più debole della maggioranza che governa viale Mazzini. Se, come ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera, «da un po’ di tempo le questioni centrali a viale Mazzini sono altre (rispetto a quelle editoriali, ndr), principalmente quelle politiche che riguardano la governance, la messa in onda di Annozero, il reintregro di Paolo Ruffini, i compensi delle star» il direttore generale viene individuato come il principale responsabile della situazione, visto dall’opposizione come il terminale di ordini arrivati dall’alto e dall’editore politico come un arma inadeguata per eseguire un disegno "normalizzatore" dell’azienda pubblica.
Dopo la sconfitta nella vicenda Ruffini (almeno fino a luglio, quando il Tar deciderà sul caso), Masi nel consiglio di amministrazione di ieri ha continuato a sostenere la finzione di una trattativa aperta con Michele Santoro, in realtà già chiusa di fatto dal conduttore di Annozero con la conferenza stampa di lunedì. Per strappare il sì del presidente Garimberti il dg ha dovuto aggiungere al piano palinsesti prima il nome di Santoro e poi la precisazione di un suo "spazio informativo" su Raidue, senza specificare il nome di Annozero (di qui il voto contrario dei consiglieri Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten). Un tentativo disperato di fare pressione su Santoro per riaprire la trattativa, alla quale il presidente Rai si è invece voluto sottrarre. Per Masi la partita resta tutta aperta e tutta in salita. L’eventuale "sostituzione" di Annozero, unico vero successo di ascolti di Raidue, offrirebbe al conduttore "censurato" un altra meravigliosa occasione per strappare le prime pagine dei giornali e lanciare il "nuovo" programma. Anche le questioni Raitre e Rainews non sono state risolte.
La presenza dei programmi sui 150 anni d’Italia di Giovanni Minoli continua ad aleggiare sulla seconda serata della terza rete della prossima stagione, minacciando la conferma di Parla con me, mentre le quattro serate di Roberto Saviano e Fabio Fazio sono state confermate. Il cda Rai ha ritrovato compattezza solo contro l’emendamento Calderoli passato in consiglio dei ministri che taglierà i compensi di dirigenti ed esterni e che «limita l’autonomia di impresa» dell’azienda di viale Mazzini.
Intanto la risibile decisione della Vigilanza sui compensi Rai (da inserire nei titoli di coda) rischia di far passare in secondo piano le novità del nuovo contratto di servizio. Come fa notare il radicale Marco Beltrandi non sarà affidato più a società indipendenti il monitoraggio sul pluralismo politico (e non solo) dei programmi Rai mentre viene abrogato il principio della neutralità tecnologica (articolo 26 del vecchio contratto) in base al quale si stabiliva che i programmi del servizio pubblico devono poter viaggiare gratuitamente su tutte le piattaforme possibili. Un modo per sanare ex post la grave (e illegittima) decisione della Rai di uscire da Sky. Il primo strappo di Masi, il primo di una serie che non riesce a ricucire.
Già , nemmeno in Zimbabwe...