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Chi avesse avuto voglia di misurare l’attuale grado di influenza di Muammar el Gheddafi in Italia sarebbe dovuto passare ieri a Palazzo Giustiniani. Per la presentazione di un libro sul viaggio compiuto un anno fa a Roma dal Colonnello - la sua prima visita ufficiale da quando prese il potere in Libia con un colpo di Stato nel 1969 - si è radunato uno schieramento trasversale di maggioranza, opposizione, uomini d’affari, diplomatici.
Una di quelle reti variegate che nella Prima Repubblica in due sono stati specialisti nell’intrecciare: Giulio Andreotti e Marco Pannella. Nel caso specifico, l’artefice era stato il primo. Ma l’intelaiatura di rapporti italo-libici consolidata in decenni dal senatore che è stato sette volte presidente del Consiglio per la Democrazia cristiana si è aggiornata con nuovi ingressi. Arduo, ieri, distinguere quanto si dovesse ad Andreotti e quanto a Gheddafi e al suo ambasciatore a Roma Abdulhafed Gaddur. Da direttore della rivista 3ogiorni, il senatore a vita ha fatto stampare i discorsi pronunciati durante la visita dal Colonnello. Dà un’idea del libro, Il viaggio del Leader. Muammar Gheddafi in Italia, una frase dell’intervento che il nemico di Ronald Reagan pronunciò un anno fa proprio a Palazzo Giustiniani: «Nessuno ai tempi dell’assassino Mussolini o di Balbo, avrebbe immaginato che la Libia sarebbe diventata una nazione forte, con risorse come il gas naturale o il petrolio, che l’Italia un giorno avrebbe avuto bisogno della Libia per queste...». Così ieri sul palco c’era un cast di rilievo. Un ministro degli Esteri, Franco Frattini. Due ex presidenti del Consiglio dei quali oggi uno nella maggioranza e uno all’opposizione, Lamberto Dini e Massimo D’Alema.
L’amministratore delegato di una grande banca, Alessandro Profumo di Unicredit. Il presiedente della commissione parlamentare Antimafia, Giuseppe Pisanu. Di fronte, in platea, imprenditori delle costruzioni, da Salvatore Ligresti a membri delle famiglie Astaldi e Bonatti. Un veterano del giornalismo comunista, Valentino Parlato. Un veterano del craxismo, Massimo Pini. Senza protestare per la chiusura della sede di Tripoli dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Frattini ha definito l’Unhcr a lungo «tollerata» benchĂ© «al di fuori della legislazione libica». Si è augurato collaborazione. Dini ha difeso il trattato di amicizia italo-libico firmato da Silvio Berlusconi e Gheddafi dall’accusa di confliggere con l’Alleanza atlantica perchĂ© prevede un patto di non aggressione. D’Alema, in Parlamento presiedente del comitato sui servizi segreti, ha ricordato che il Colonnello mise in guardia da Osama Bin Laden prima del 2001 («Mi disse: "Gli americani stanno finanziando un personaggio e gruppi che rappresentano un pericolo non solo per il mondo islamico"») e fornito un’analisi materialista delle relazioni italo-libiche: «Le opportunitĂ
per le nostre imprese sono un capitolo non secondario nel rapporto di amicizia».
Profumo, che ha la Banca centrale libica tra gli azionisti, ha giudicato i fondi sovrani di Tripoli «fonte di stabilità per le nostre aziende». Gaddur aveva ricordato che la Libia in 15 anni vuol portare al 65% l’attuale 27% non petrolifero del prodotto interno lordo. Poi è andato a colloquio da Berlusconi. Che forse individua in lui il suo ideale di ambasciatore-manager..