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Uguaglianza, una macchina da rimettere in moto

• da QN del 15 giugno 2010

di Donata Righetti

 

Non si sono certo scatenati festosi balli nelle piazze né altre manifestazioni di giubilo alla notizia che l’età pensionabile per le donne sarà, nell’ambito dell’impiego pubblico, parificata anche in Italia a quella degli uomini. La decisione è stata incassata come un evento ingiusto, quasi luttuoso, e vissuta da molte, e soprattutto da molti, come un diktat punitivo, un’amara medicina a cui non ci si poteva sottrarre se non svenandosi con le micidiali multe previste dalla Comunità europea. Nel sottomettersi a una scelta considerata assai impopolare i nostri politici hanno esibito espressioni di desolata e afflitta impotenza lamentando la mancanza di gradualità della misura e, ovviamente, dimenticandosi di dire che la richiesta "ultimativa" della Cee risale addirittura al 2004. Allora pollice verso per un’imposizione che costringe tante a rinviare i loro legittimi progetti post lavorativi?
In realtà c’è un vistoso rovescio della medaglia. Secondo alcune donne sveglie e attente come Emma Bonino, ma anche numerose altre, economiste, sociologhe e semplici cittadine, questo provvedimento
potrebbe trasformarsi in un’occasione per sanare uno stato di cose inaccettabile: la condizione femminile in Italia, ormai precipitata a livelli penosi e che ci colloca al penultimo posto tra i Paesi europei, seguiti nella graduatoria solo da Malta.
Aver consentito alle donne di andarsene in pensione prima degli uomini, sostengono queste signore controcorrente, è stata una carità pelosa, un finto risarcimento per rimediare in qualche modo all’assenza di servizi sociali, una furbata per obbligare donne ancora in piena forma fisica a sostituire
a tempo pieno e a costo zero asili nido e badanti. Un presunto vantaggio che ha comportato una pesante penalizzazione, anche economica. Se infatti le donne a parità di mansioni sono mediamente pagate un venti per cento in meno dei colleghi, le loro pensioni, e queste non sono chiacchiere ma dati Istat, corripondono al 46 per cento dei loro stipendi, quelle degli uomini invece al 64 per cento. Il " privilegio" cioè si traduce in pensioni decurtate. All’equiparazione dell’età pensionabile dovrebbe poi corrispondere un impegno per la parità effettiva.
Come accade in Germania dove Angela Merkel, alle prese con pesanti tagli alla spesa pubblica, sta contemporaneamente per varare una legge che favorirà le donne perché prevede il diritto all’asilo nido per tutti i bambini.
Dunque, almeno in teoria, l’aumento dell’età pensionabile potrebbe trasformarsi in un’opportunità per rimettere in moto la rugginosa macchina dell’uguaglianza. Come esordio è però indispensabile che i risparmi causati da questa riforma siano impiegati per le donne. Si tratta di briciole, di cosette irrilevanti dicono dal governo, pochi milioni di euro già destinati ai portatori di handicap. Ma quei soldi, pochi o tanti che siano, per principio devono, e ci perdonino i portatori di handicap, tornare alle donne quale primo, simbolico passo per rivedere il loro posto nella società italiana.


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