Articolo di Marco Pannella e Michele De Lucia su Il Sole 24 Ore
Se davvero il marziano dì Ennio Flaiano sbarcasse a Roma e ascoltasse recitare il mantra per cui «non si fanno riforme in tempo di crisi», potrebbe pensare che in altri e più fortunati periodi le riforme da noi abbiano rappresentato la regola. Il poveretto sbaglierebbe di grosso: dal lavoro al welfare, dalle pensioni alle liberalizzazioni, anche gli anni Duemila scorrono con la sola, incompiuta eccezione della legge Biagi - senza quelle riforme di cui il Paese ha bisogno.
Le ideologie hanno continuato ad essere un motore di corporativismi, assistenzialismi, rendite di posizione, capitalismi - di Stato e privati - inquinati da poteri incontrollati, conflitti d’interesse, dissipazioni clientelari.
Si sono creati dei tabù e li si è usati come alibi per negare la stessa esistenza di problemi evidentissimi, come nel caso delle pensioni.
Tuttavia oggi, proprio in materia previdenziale, il Parlamento può cogliere un’occasione per invertire la rotta. Inizia infatti alla Camera l’esame della proposta di legge radicale "Norme per la prosecuzione del lavoro oltre i limiti di età previsti per il pensionamento di vecchiaia", che Giuliano Cazzola e Pietro Ichino hanno sottoscritto come primi firmatari. Si tratta di una proposta sperimentale (durerebbe un triennio, e al termine di ogni anno il ministro competente trasmetterebbe al Parlamento una relazione sugli effetti economici e sociali della nuova disciplina) e volontaria (deciderebbe la persona e non, d’imperio, lo Stato).
L’aumento della speranza di vita, il calo demografico e il conseguente invecchiamento della popolazione
pongono il problema della sostenibilità dei sistemi pensionistici e, in generale, del welfare. Poniamo, inoltre, la questione del diritto costituzionale al lavoro anche degli anziani: raggiunto il limite di età , l’obbligo alla pensione surrettiziamente abroga il diritto al lavoro, anche se si è ancora nel pieno delle forze. In più il valore delle pensioni, con il passare degli anni, si riduce e il pensionamento forzato si traduce spesso in obbligo di povertà . Se la proposta venisse approvata, vi sarebbero immediati vantaggi per tutti:
1) il lavoratore, optando per la prosecuzione dell’attività lavorativa, riceverebbe un trattamento economico superiore a quello che percepirebbe se andasse subito in pensione;
2) l’imprenditore potrebbe continuare ad avvalersi dell’opera di lavoratori con un elevato livello di esperienza a costi più contenuti, in virtù di una riduzione di due terzi del carico contributivo, e avrebbe comunque la possibilità di risolvere facilmente il rapporto;
3) quanto all’erario, il rinvio del trattamento pensionistico si tradurrebbe in un risparmio netto sul piano economico, stimabile fino a sei miliardi di euro in un quadriennio.
Buon lavoro ai deputati, dunque, con un obiettivo: all’inizio degli anni Settanta, la conquista di una riforma apparentemente circoscritta come il divorzio portò ben presto alla riscrittura dell’intero diritto di famiglia. Non è detto che, quarant’anni dopo, l’obiettivo radicale per il proseguimento dell’attività lavorativa oltre i limiti di età non possa rappresentare un primo passo nella giusta direzione della Riforma sociale del Paese.
*I due autori sono rispettivamente il leader storico ed europarlamentare e il tesoriere dei Radicali