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Trasformato anch'io in un picciotto

• da Libero del 30 giugno 2010

di Renato Farina

Caro direttore, ora posso parlare con animo sollevato. Non sono un mafioso, sarò un aiutante dei rapitori di imam in quanto Betulla (non lo sono, ovvio) eccetera. Pirlotto forse, picciotto no. La sentenza dei tribunale d’appello di Palermo che limitala condanna per Marcello Dell’Utri a fatti accaduti prima del 1992, mette al sicuro anche me. Infatti i pm di Palermo hanno cercato di trascinarmi nella melma di Cosa nostra. No grazie: sarebbe stato un vanto eccessivo di apertura culturale per un brianzolo doc.
Tu, caro Maurizio, lo hai appreso poco prima del pronunciamento palermitano, leggendo un trafiletto de "Il Fatto". Il quotidiano di Padellaro mi dedica infatti un bel riquadro colorato in grigio-azzurro, in una pagina dedicata a Cuffaro e Dell’Utri, accusati del medesimo delitto di "concorso esterno". Il titolo promette: "Il ruolo di Betulla". Avrei intermediato tra. Dell’Utri e un pentito di mafia, in vista di una calunnia. Io lo sapevo da un po’. Ora racconto a te e ai tuoi lettori che cosa mi hanno causato alcune intercettazioni di un po’ di anni fa, forse sei-sette.
Sintetizzo. E’ il 2009. Sono convocato in Tribunale a Palermo, processo Dell’Utri. Non capisco il motivo. In aula apprendo. Avevo conosciuto un’avvocata di Bari, una signora molto gentile. Era la patrocinante di "Robocop", chiamato così perché durante le manifestazioni violente del G8 a Genova, andò in piazza con la tuta nera e i rigonfiamenti di gommapiuma. Era un maresciallo della Guardia di Finanza e in quel 2001 fu individuato come simbolo del poliziotto cattivo. Io lo difesi su Libero. Suo avvocato era una legale di Bari, che mi mise in contatto con lui, ed io restai in amichevoli rapporti con la medesima. Questo maresciallo era il caposcorta di un pentito della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese. E di quel pentito la signora era avvocato. La faccio corta: quel pentito e Dell’Utri furono accusati di calunnia. Io conoscevo tutt’e due. Stringo: il pm mi fece domande del tipo: «Di che partito è deputato?». Risposi: «Se vuole le dico anche per chi ho votato nel segreto dell’urna». Mi citò delle telefonate di anni prima. Mi ricordavo? Era roba innocentissima. Tra le altre cose avevo detto di aver sentito una telefonata di Dell’Utri con la moglie del pentito, di affettuoso sostegno morale. Ero un intercettato intercettatore, un sentito dire al quadrato. Ma da qui è arrivato a dedurre che io avrei fatto da intermediario, torbidamente, per far giungere attraverso la Costa Azzurra dei denari al pentito calunniatore, tramite l’avvocato barese, nel frattempo condannata a sua volta per altri reati. Avevo dimostrato perfettamente di non c’entrarci per nulla. Ma il procuratore mi ha accusato lo stesso. Naturalmente le telefonate intercettate non sono mai state messe a mia disposizione, ancora adesso che sono qui a scrivere. Tutto questo è bastato per individuarmi come un losco anello di trattative tra Stato e mafia.
Chiunque dubiti dell’innocenza di Dell’Utri, rifletta su questo fatto: se hanno provato a far passare me, che sono lombardo senza parentele sotto Monza, per complice di mandanti di strage mafiosa, con intercettazioni perfette, e conoscenze giudicate ambigue; figuriamoci cosa possono aver combinato con uno come Dell’Utri, che è arci-palermitano ed è stato presidente o allenatore del Bacigalupo Footbal Club, dove credo che persino i pulcini giochino con la coppola. I guai non sono finiti qui per me. Come deputato mi sono preso l’impegno di visitare le carceri. Abbiamo questo privilegio: possiamo andare gratis sugli aerei e anche nelle prigioni. Sono stato dappertutto. Il 15 agosto dell’anno scorso, accompagnato da militanti radicali, sono stato a Opera, e ho visto i detenuti in regime di 41 bis. Tra gli altri i Graviano e Totò Riina. Un’esperienza allucinante. Riina mi venne davanti in canottiera, come una specie di Geppetto dal fondo della balena. Sentiva l’Ave Maria di Schubert, si asciugò le guance fresche di rasatura sotto cui emergeva un bubbone gigantesco. Disse come un militare prigioniero:
«Io sono Salvatore Riina».
Farina intercettato... Farina-Betulla... Perché vali? L’Espresso del 19 novembre, a firma di Lirio Abbate, fornisce questo titolo: "Indagine esplosiva Berlusconi e Dell’Utri collusi con la, mafia". Si ripercorre la storia raccontata da Spatuzza, quella che proprio ieri il Tribunale di Palermo ha giudicato falsa. Io ne divento il protagonista, colui che riprende la trattativa. Cito: "Ma i detenuti, stanchi di attendere una soluzione politica a lungo promessa, ma non ancora completamente realizzata, adesso minacciano di vendicarsi raccontando cosa è davvero successo nel 1993-94". Finché chi arriva? Arrivo io, come no. Scrive Abbate: "La coincidenza vuole che ... il deputato Renato Farina (PdL), alias ‘agente betulla’, entra nel carcere di Opera, nell’ambito dell’iniziativa promossa dai Radicali. L’ex informatore dei servizi segreti si ferma a parlare con Totò Riina. Poi il deputato prosegue il giro ‘cella per cella’ degli 82 reclusi sottoposti al 41bis. Casualità, vuole che in questo istituto è detenuto pure Giuseppe Graviano. I boss lanciano messaggi, e i politici che comprendono il loro linguaggio sanno come rispondere".
Siccome vanno sempre in coppia, come Gianni e Pinotto, seguì "Il Fatto", a firma Peter Gomez, gratificandomi dell’onorificenza di "esponente di peso del PdL". Scrisse: "Per lui è solo un atto di carità cristiana. Un gesto umanitario per dare un po’ di conforto a chi soffre. Per gli investigatori, invece, potrebbe essere una sorta di messaggio. O almeno potrebbe essere colto dalla mafia come tale. Come l’ultimo, o il penultimo, segnale nella lunga presunta trattativa tra Cosa. Nostra e lo Stato cominciata nel 1992-93 e mai interrotta".
Gli investigatori mi indagano come mandante postumo della, strage di Capaci... Mamma mia. Ora il Tribunale fa chiarezza. Ma per favore qualcuno può passarmi le mie intercettazioni?

P.S Caro Maurizio, sarei reticente se, in due righe, non ti confessassi insieme alla mia gratitudine poiché mi difendi con coraggio, un mio disagio. Anche i migliori sbagliano, e tu com’è noto sei il migliore, insieme con Filippo Facci. Nel novembre del 2006 furono poste a disposizione delle parti, dunque non più segretate, intercettazioni che mi riguardavano. Su Il Giornale che allora dirigevi, Facci usò sms molto intimi, frasi religiose, mie dichiarazioni di depressione. Furono citati amici che mi davano solidarietà,
altri che mi chiedevano lavoro. Non osarono più scrivermi, magari c’era il Facci in agguato per sputtanarli. Come sai non si fa, legge o non legge. Con amicizia!



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