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CARO direttore, sul nucleare si stanno imponendo posizioni più obiettive rispetto al passato, mentre vanno marginalizzandosi le argomentazioni faziose o ideologiche. Una consapevolezza sulla tematica, diffusa a livello di società civile, si consoliderà solo con una campagna di informazione istituzionale scevra da interessi di parte, come avviene nei Paesi più avanzati. Non intendo affatto sminuire le problematiche e cioè l'importanza delle valutazioni in materia di siting sul territorio del nuovo nucleare, di opzioni tecnologiche, di impatto ambientale e paesaggistico e di garanzie per la sicurezza e per la salute dei cittadini. Anzi, soprattutto per il caso italiano, ritengo che tali valutazioni saranno essenziali. Vanno sottolineate però le ragioni per cui lo sviluppo di una filiera elettronucleare rientra a tutto campo negli interessi specifici del Paese Italia.
1. La fonte nucleare, all'orizzonte post 2020, consentirebbe all'Italia di limitare la sudditanza contrattuale da altri paesi relativamente alle materie prime energetiche. Ciò non significa autarchia energetica, ma il nucleare, oltre a garantire un' elevata sostenibilità ambientale, fa da "scudo" naturale alle volatilità ed alle tensioni di prezzo imposte dall'esterno in particolare sul mercato del gas.
2. Si parla molto di migliorare la competitività del nostro comparto industriale eliminando almeno l'attuale handicap energetico. L'odierna incoerenza di costi del nostro mix di generazione elettrica rispetto a quello medio europeo (almeno il 60% dei kWh prodotti con il binomio carbone-nucleare in Europa contro lo stesso 60% a gas in Italia) pesa come un macigno non solo sulle attuali imprese energy-intensive nazionali. Il reingresso nel settore elettronucleare potrà portare linfa ulteriore a industria e terziario.
3. Un ulteriore interesse del Paese è quello di disporre di un mix di fonti che premi la complementarità e che sfrutti le sinergie tra le diverse fonti. Lo scenario a gas prevalente per la produzione elettrica caratterizzerà ancora il prossimo decennio. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili, a meno di "salti" tecnologici, non consentirà da solo di giungere al 2020 con un livello di opzioni energetiche alternative rispetto alle fonti tradizionali. L'opzione nucleare è la risposta naturale a tale esigenza specie in un Paese assai antropizzato come è il nostro. Ciò è ancor più evidente se si considera il differente uso del territorio nei casi del nucleare (molto concentrato per unità di territorio) e delle rinnovabili diffuse sudi esso per definizione.
Il mercato elettrico però difficilmente premia, nel breve termine, investimenti con elevati costi fissi, quali quelli del nucleare. Ne consegue che le iniziative nucleari richiedono qualche garanzia supplementare, assicurando che tali garanzie- concesse nell'interesse del Paese - non si trasformino in vantaggi per pochi (produttori). Le formule più virtuose prevedono il concorso della cosiddetta "domanda organizzata", come l'inclusione di grandi consumatori energivori o loro consorzi, di aggregazioni di piccole e medie imprese e di raggruppamenti di clienti domestici. Per assicurare la stabilità economico-finanziaria dell'investimento, si devono altresì prevedere schemi di uscita soft dei diversi consumatori, con il subentro automatico di garanzie di “ultima istanza†eventualmente socializzate. Chiaramente occorre rendere certa e trasparente una simile forma di garanzia privato-pubblica: il regolatore economico del mercato elettrico può farsi garante della tenuta dello schema. In conclusione, la scelta nucleare appare quindi nell'interesse del Paese in un'ottica di medio-lungo termine. Il decisore politico deve quindi munirsi di "lenti bifocali" in grado di vedere - nel breve - le possibilità offerte dai meccanismi di mercato, ben consapevole che esse risultano alquanto miopi verso il futuro più lontano.