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La banca delle ore per conciliare famiglia e lavoro

• da Libero Mercato (Libero) del 2 luglio 2010

di Gianni Bocchieri

 

Il dibattito in corso tra le diverse scuole di pensiero economico sulla validità del Pil, il prodotto interno lordo, quale indicatore della ricchezza di un Paese, ha l'indubbio pregio di consentire una riconsiderazione sulle differenze di genere, nell'ambito delle attività lavorative. L'ultimo saggio di Alberto Alesina e Andrea Ichino, "L'Italia fatta in casa" dimostra che il Pil del nostro Paese supererebbe la Spagna e ridurrebbe notevolmente la distanza dalla Norvegia e persino dagli Usa, se solo si includesse il valore della "produzione domestica". Vale a dire, il lavoro domestico, non remunerato, soprattutto quello che le donne fanno perla cura della famiglia e della casa. Si può poi discutere se questo fenomeno sia un bene o un male. Ma la consapevolezza che il contributo delle donne alla ricchezza o al benessere del Paese sia diverso da quello indicato dalle statistiche ufficiali, può contribuire a orientare meglio le proposte delle politiche sulle differenze di genere. Infatti, molto spesso ci si dimentica che il nostro ordinamento giuslavoristico prevede già degli istituti che possono favorire le esigenze delle donne di conciliare il lavoro e la cura della famiglia, secondo retribuzioni, contro prassi e comportamenti che ostacolano il cammino di una donna verso la "stanza dei bottoni" e così via. Pensi che fino a pochi mesi fa la multa era di 500 giuro, ora si può arrivare a 50mila e sei mesi di reclusione».
Donne e lavoro è quindi ancora un binomio in contraddizione? «Le donne fanno i salti mortali per gestire lavoro e famiglia. Questo oggi è ancora un problema non risolto. Vanno dunque potenziati i servizi e, come ho detto, lo stiamo facendo, seppur in un momento di crisi, dove i soldi a disposizione sono pochi per tutti. Poi, certamente, esiste un ritardo culturale, soprattutto in alcune zone del Paese. Ma sono sicura che anche questo problema è in via di soluzione perché le donne stanno emergendo in ogni settore, nella politica, nell'economia, nel sociale. È un processo inarrestabile e che avrà riflessi nella nostra società».
Qual è il suo modello ideale in Europa? A quale paese l'Italia dovrebbe guardare? «Il miglior modello è certamente quello svedese. La Svezia ha un welfare perfettamente ritagliato
sulle esigenze della famiglia e, in particolare, dei più piccoli. Ma, certo, non si costruisce un welfare alla svedese in due anni, senza avere a disposizione tantissimi soldi. Si può certamente pensare di importare, con gradualità, quelle misure che, nel resto dell'Europa, hanno funzionato bene».
Per esempio? «E ciò che abbiamo fatto con la figura della tagesmutter, la "mamma a domicilio" o "baby-sitter di condominio". Molto diffusa in Germania, è una baby-sitter professionale, adeguatamente formata, alla quale affidare massimo 5 bambini da 0 a tre anni, che opera dentro il condominio o nelle vicinanze. Per la sua introduzione abbiamo investito dieci milioni di euro, le prime cooperative di tagesmutter stanno nascendo soprattutto nel Nord Italia».
Italia 2020: un progetto lanciato a inizio anno con Maurizio Sacconi per aumentare il numero delle donne che lavorano. Si può già fare un primo bilancio? « Il piano è stato appena presentato, entro fine anno contiamo di dargli piena applicazione. Già sono partiti i primi progetti che riguardano soprattutto i servizi per l'infanzia ma, oltre allo sviluppo dei servizi di cura, ci impegneremo per introdurre una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro. Sono anche previsti aiuti economici e fiscali all'occupazione femminile nel Sud, anche attraverso il finanziamento dell'imprenditoria femminile. Bisogna inoltre operare per favorire la qualità del lavoro femminile: la crescita delle occupate è importante, ma va incoraggiata anche la progressione di carriera delle donne fino ai centri decisionali».
Le pari opportunità hanno bisogno di federalismo? Ci sono problemi specifici delle diverse zone italiane? «Le pari opportunità devono essere assicurate e riconosciute nello stesso modo in ogni parte del Paese. É un diritto sancito dalla nostra Costituzione all'articolo 51. Il Sud è arretrato e in ritardo rispetto al Nord e non solo in questo. Il problema è molto più ampio e il tempo è già scaduto. Occorre urgentemente dar vita alle condizioni per uno sviluppo autonomo del Meridione. Spetta alle classi dirigenti - formate, auspico, anche da donne - smarcarsi dal passato e cominciare ad amministrare e ad impiegare le risorse a disposizione in modo da ottenere stessi risultati e stessi livelli di prestazioni e servizi del Nord. Lo Stato, da parte sua, deve garantire la legalità e la sicurezza e il contrasto di ogni forma di criminalità, il controllo che ciò accada nel rispetto dei diritti di tutti. Certo è positivo che, come sta accadendo, ogni Regione abbia deciso di affrontare questi temi, focalizzandoli sui problemi o le peculiarità del territorio».
L'asilo in azienda: è il privato a doversi sostituire dove lo Stato manca? «Posto che in un Paese moderno lo Stato non deve essere assente ma deve rendere disponibili per le famiglie servizi come gli asili, sono assolutamente favorevole all'asilo in azienda. Lo ritengo infatti un importante elemento all'interno di una politica aziendale all'avanguardia e al passo con i tempi e anche con le mamme e, cominciamo a dirlo, al passo con i papà che lavorano... Anche per questa ragione, insieme con i colleghi Renato Brunetta e Carlo Giovanardi, abbiamo presentato e finanziato il progetto Nidi Pa: un investimento di 25 milioni di euro che consentirà di far nascere asili nido negli uffici della Pubblica amministrazione fino ad arrivare entro dieci anni a 80-100 mila posti, il 10 per cento dei quali aperti agli esterni».


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