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Qui si naviga verso un flop ormai certo, salvo miracoli estivi. La scadenza è segnata: 30 luglio. La cifra complessiva delle firme da raccogliere, pure: 500mila. Un numero altissimo, spaventoso se si guarda alle sottoscrizioni finora certificate dall'Idv per i tre referendum antigovernativi lanciati qualche mese fa: appena 4mila in Lombardia, la regione più generosa di firme referendarie. E seri sono così poche, chissà nelle altre regioni allora... L'allarme rosso infatti è scattato e Di Pietro è stato costretto a fare una lavata di capo ai suoi, che gli avevano promesso fiumi di inchiostro referendario e, soprattutto, avevano dichiarato di avere già nel cassetto 48 mila firme in Lombardia, già poche di per sé ma certamente molte di più rispetto a quelle realmente raccolte. E allora Tonino ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi dirigenti lombardi una mail di fuoco, col suo stile riconoscibile fin dall'incipit: «Carissimi, patti chiari, amicizia lunga!». Dopo la minacciosa intestazione segue la sfuriata di Di Pietro, scoperta dal sito Iltribuno.com. «La Lombardia dovrebbe raccogliere 80.000 firme per ciascun referendum. Mancano tre settimane e fino ad oggi avete dichiarato di averne raccolte in due mesi solo 48.000. In realtà risultano ad oggi consegnate a Roma solo 4.000 firme. Se il referendum dovesse fallire la colpa è anche vostra. Senza scuse e con tutte le conseguenze del caso. Buon lavoro! Antonio Di Pietro». Il messaggio è chiaro, patti chiari amicizia lunga, e chi sgarra paga. Anche perché Tonino, con i tre referendum (contro il legittimo impedimento, contro l'energia nucleare e contro la privatizzazione dei servizi idrici) ci ha messo la faccia, e se la raccolta firme dovesse fallire - cosa a questo punto assai probabile - sarebbe lui a fare la figuraccia. La cosa che colpisce è che Di Pietro in persona, in quella mail, attesta un «falso» perpetrato ai suoi danni dai vertici del suo partito. Che avevano giurato di aver già autenticato 48 mila firme, quando in realtà erano solo 4mila, meno di un decimo. Quindi si capisce perché Tonino usi un tono così duro, paventando le «conseguenze del caso». Espulsioni, radiazioni, o solo congelamento di carriere causa flop? Una cosa è certa: guai a mettersi contro il Capo. La mail è datata 29 giugno, e segue altre comunicazioni interne con cui si segnalava il pessimo andamento della raccolta. Anche se poi, pubblicamente, i coordinatori nazionali dell'Idv sbandieravano vele gonfie e urne già stracolme. In realtà ci si preoccupava già da un po'. E una precedente lettera di allarme era arrivata dal braccio destro di Di Pietro, Silvana Mura, diretta stavolta ai vertici emiliani dell'Idv. Lì la Mura, coordinatrice regionale del partito, spiegava che, facendo seguito «alle sollecitazioni del Presidente Di Pietro» circa «il ritardo con cui si stanno raccogliendo le firme per i tre quesiti referendari su Acqua, Nucleare e Legittimo impedimento», il dato pervenuto era semplice- mente «preoccupante». «Su un budget di 20mila firme da raccogliere, sul territorio provinciale di Bologna si è a mala pena raggiunta quota 6 mila (per ogni quesito)». Male, malissimo. E il peggio deve ancora venire, perché come spiega la stessa Mura in quella lettera scovata sempre dal Tribuno.com, «come ben sapete con il passare delle settimane le adesioni alle campagne referendarie tendono a scemare... ». Finito l'effetto iniziale, a meno di non chiamarsi Marco Pannella, è difficile portare avanti la campagna referendaria, che cala di giorno in giorno. Una brutta rogna per Di Pietro, che da qualche tempo ci aveva fatto l'abitudine: su ogni questione, che sia il Lodo Alfano, le intercettazioni, l'energia o l'acqua, l'Idv propone un referendum abrogativo. Se, come pare, questi tre saranno un enorme buco nell'acqua, Di Pietro farebbe bene a cambiare. Sempre che non si incolpi qualcun altro, magari i poteri forti o il bavaglio mediatico berlusconiano, per giustificare l'imminente flop referendario dipietrista.
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