Le sue dimissioni irrevocabili da ministro del Decentramento Aldo Brancher le presenta durante l'udienza del processo Antonveneta, che lo vede imputato di ricettazione e appropriazione indebita. Un esito atteso e previsto quello delle dimissioni considerando il pressing dello stesso presidente del Consiglio a questo fine: «So con quanta passione e capacità avrebbe potuto ricoprire il ruolo che gli era stato affidato - è il commento del premier - ma ho condiviso la decisione di dimettersi da ministro per evitare il trascinarsi di polemiche strumentali». Dimissioni quelle di Brancher che diventano per i ranghi berlusconiani della maggioranza una sconfitta dell'opposizione (che invece le legge come una sua clamorosa vittoria), che segnerebbero il fallimento di un piano volto a mettere in crisi il governo ove fosse stata posta in votazione l'annunciata mozione di sfiducia. Una (presunta) vittoria che trova subito altri padri, come l'esponente finiano Italo Bocchino che di fronte alle dimissioni di Brancher si leva il cappello - «Un gesto di responsabilità » - per mettercelo sopra: «Il primo atto del "ghe pensi mi" berlusconiano va incontro alle nostre richieste. Siamo fiduciosi che lo stesso accadrà su intercettazioni, manovra e vita interna del Pdl». Insomma se Berlusconi segue la nostra linea, è il messaggio che lanciano i finiani, le cose andranno bene, al contrario se il premier presterà orecchio al consiglio dei falchi, che nel Pdl volteggiano sempre più nervosi chiedendo la resa dei conti allora sarà lui - ammonisce il finiano Alessandro Campi - a finire impallinato. Dopo Brancher e accanto alle frizioni con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti il principale problema che il premier si è prefisso di affrontare e risolvere questa settimana è proprio quello costituito dall'opposizione interna finiana. Non è ancora chiaro quale sarà l'approccio del premier: spingerà Fini al divorzio? Cercherà una mediazione? Oppure, terza via ipotizzata durante questo week end, verrà proposta una separazione consensuale all'interno di una federazione di centrodestra? Se la linea fosse quella indicata dal Giornale di Feltri le mediazioni starebbero a zero. Il quotidiano di via Negri ieri ha vibrato contro il presidente della Camera forse il più duro di tutti gli attacchi portati fino ad oggi contro di lui. Fini viene definito "leader della congiura" e ritratto in prima pagina in una vecchia foto dove fa il saluto romano. «Puntare alla pacificazione - scrive Feltri nell'editoriale - è stata una perdita di tempo. La lite si è inasprita, la coalizione sfilacciata, il governo ha faticato ad approvare qualsiasi provvedimento. E ora il rischio di una rottura traumatica è sotto gli occhi di tutti. Ora Fini è sul punto di ottenere ciò che voleva: far fuori il premier e distruggere la maggioranza». Scopo che secondo Feltri il presidente della Camera persegue con tenacia, avvalendosi «della collaborazione di Di Pietro, del Pd, talvolta di Casini e perfino di Napolitano, con il quale ha intessuto rapporti eccellenti pensando che un giorno - quello del giudizio il Colle sarebbe venuto buono per evitare elezioni anticipate». Insomma l'incubo dei cosiddetti falchi berlusconiani e dello stesso Berlusconi è la crisi della maggioranza e l'avvento di un governo tecnico nominato dal presidente della Repubblica. Prospettiva dichiarata da Enrico Letta ma che per i centristi, nella forma con cui viene presentata, è miope per due ordini di motivi. Primo perché non si può invocare l'intervento del presidente della Repubblica prima che ci sia una crisi di maggioranza. Secondo perché pensare a un governo di larghe intese senza un programma condiviso significa preparare un fallimento sicuro. Sulla stessa linea il vicepresidente del Senato Emma Bonino: «Trovo assolutamente fuori luogo questo tirare per la giacca Napolitano». Come a fugare sospetti di quintocolonnismo i finiani assicurano di non avere in mente nessuna crisi di governo. Anzi, «le dimissioni di Brancher - dice Bocchino - sono un atto a favore del governo». Quanto però alla normalizzazione - o con- vivenza pacifica e disciplinata o separazione - Bocchino assicura che dal Pdl non ce ne andremo né ci faremo cacciare». E sul ddl intercettazioni: «Siamo sicuri che così come Berlusconi ha seguito i nostro consigli sul caso Brancher farà altrettanto sul ddl intercettazioni». Insomma la tattica finiana resta quella del sostegno al governo senza però far cessare la guerriglia interna ponendo le questioni politiche all'interno del partito quando possibile e altrimenti all'esterno, riversando il dissenso sulla pubblica arena. E soprattutto per trovare una via d'uscita a questo braccio di ferro continuo e logorante che il premier ha convocato mercoledì una riunione a Palazzo Grazioli con i capigruppo del Pdl di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, il vicepresidente dei senatori pidiellini Gaetano Quagliariello, i coordinatori Ignazio La Russa, DenisVerdini e Sandro Bondi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Niccolò Ghedini. Intanto, dopo che sul Corriere s'era espresso Ignazio La Russa sulla necessità di chiarire una volta per tutte i rapporti con Fini l'altro coordinatore Sandro Bondi ha invocato "una nuova rivoluzione berlusconiana" che spazzi via "le tensioni nella maggioranza" e "i conservatorismi della politica politicante". Dove il riferimento a Fini è abbastanza esplicito. Frattini è meno ellittico: «Se Fini se ne va non ci strappiamo i capelli». Ma il ministro degli Esteri ne ha anche per Bossi: «Sul caso Brancher ha commesso un errore: aver fatto credere che la nomina non fosse stata discussa». Sembra che nemmeno degli alleati fidati ci si possa più fidare.