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Eritrei in Libia: l'Europa chiede aiuto all'Italia

• da Liberal del 7 luglio 2010

di Guglielmo Malagodi

Il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, ha chiesto aiuto al governo italiano per fare chiarezza sulla sorte di 250 eritrei detenuti in Libia. Con due lettere inviate lo scorso 2 luglio al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro degli Interni, Roberto Maroni - il cui testo è stato reso noto solo ieri Hammarberg ha chiesto al governo italiano di «collaborare al fine di chiarire con urgenza la situazione con il governo libico». Dal 30 giugno i 250 eritrei si trovano nelle celle del centro di detenzione di Braq, 80 chilometri da Seba, nel Sud della Libia, dove sono stati trasferiti dal centro di detenzione per migranti di Misurata. Il gruppo era stato deportato su tre camion container come "punizione" a seguito di una rivolta scoppiata il giorno prima fra i detenuti che non hanno voluto dare le proprie generalità a diplomatici del loro Paese per paura di essere soggetti a un rimpatrio forzato. Secondo i numerosi rapporti ricevuti dal Commissario Hammarberg prima del trasferimento degli eritrei da un campo di detenzione all'altro, «il gruppo sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti da parte della polizia libica, e molte delle persone detenute sarebbero rimaste ferite». Sempre in base ai rapporti ricevuti - scrive Hammarberg nella lettera a Frattini e Maroni - tra i migranti, che rischierebbero ora l'espulsione verso l'Eritrea o il Sudan, vi sarebbero anche dei richiedenti asilo, e il gruppo includerebbe anche persone che sono state ricondotte in Libia dopo essere state intercettate in mare mentre cercavano di raggiungere l'Italia. «Data la recente decisione delle autorità libiche di porre fine alle attività dell'Unhcr nel Paese, è divenuto estremamente difficile avere conferme sull'accuratezza di questi rapporti», scrive il commissario che, vista la "serietà" delle accuse», domanda all'Italia di collaborare al fine di «chiarire con urgenza la situazione con il governo libico». Le reazioni del mondo politico italiano non si sono fatte attendere. «È molto importante che il governo italiano raccolga l'invito del commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa», ha dichiarato dichiara il deputato dell'Udc, Luca Volontè, presidente del gruppo Popolari e cristiani democratici europei al Consiglio d'Europa. «Ci auguriamo che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, acquisisca tutte le informazioni necessarie nel più breve tempo possibile, facendo leva anche sul particolare rapporto di amicizia tra Gheddafi e il presidente del Consiglio, per poi promuovere tutte le azioni umanitarie del caso. Dopo la positiva conclusione della crisi libico-elvetica, l'esecutivo si faccia carico della dolorosa violazione dei diritti umani che sta colpendo i profughi eritrei». «L'ho chiesto già da qualche giorno, ma il ministro Frattini, forse per non spazientire con una domanda sulla sorte dei 250 eritrei “l’amico” Gheddafi, sta facendo finta di non sentire. Stanno morendo in 300, si intervenga», ha aggiunto Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati del Pd. «Ora - aggiunge - non possiamo far più finta di nulla. Abbiamo presentato un'interrogazione a Maroni, abbiamo pronto il question time, ci rivolgiamo a tutto il governo, presidente del Consiglio compreso». E i deputati di Pd, Idv e Udc hanno chiesto in aula che il governo informi il Parlamento tempestivamente. Da parte loro, Frattini e Maroni hanno risposto con una lettera all'appello pubblicato ieri dal quotidiano Il Foglio sulla stessa vicenda. «In queste ore scrivono - in corso una delicata mediazione sotto la nostra egida, mediazione che stiamo finalizzando, per poter arrivare all'identificazione dei cittadini eritrei, i quali, è bene saperlo, timorosi di farsi identificare rendono impossibile la definizione del loro status, e poter loro offrire un'occupazione, nella stessa Libia, contro il rischio e la paura del rimpatrio. In quest'azione le Ong italiane sono in prima fila». «L'Italia - ricordano i due ministri - non si è mai sottratta ad un'attività di sensibilizzazione delle autorità libiche, ma abbiamo scelto una strada diversa da quella della pubblicità». Frattini e Maroni concordano con «l'assolutezza e l'irrinunciabilità» dei diritti umani, ma spiegano: «Non siamo certi che anche le più giuste declamazioni possano aiutarci a risolvere un problema che ha bisogno di un approccio diverso per essere risolto. Tra l'altro non crediamo che incoraggino la comprensione della realtà della vicenda cronache e interviste giornalistiche con appelli via telefono satellitare inspiegabilmente utilizzate da parte di persone che denunciano di essere detenute e a rischio di tortura».



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