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La sinistra usa i terremotati per scatenare la guerriglia

• da Il Giornale del 8 luglio 2010

di Andrea Cuomo

Urla,manganelli,vuvuzelas e tanta rabbia. Per niente o quasi. Perché i 5mila aquilani che ieri per urlare il loro sdegno contro il ritorno delle tasse nell'Abruzzo terremotato hanno tenuto in scacco la capitale, bloccando il traffico, scontrandosi più volte con la polizia, violando per la prima volta la zona rossa che protegge Palazzo Grazioli, residenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, non hanno letto quanto annunciato da Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Pdl, solo qualche ora prima. Quagliariello aveva parlato di «rinvio dei termini per il rimborso delle tasse, ulteriore proroga per professionisti e piccole imprese, conferma della zona franca e ulteriore finanziamento» come provvedimenti inseriti nella manovra finanziaria in discussione in queste ore a Palazzo Madama. Ma ieri per le strade della capitale non c'era nemmeno un sorriso per quelle che dovrebbero essere accolte come buone notizie da un popolo ferito. Quarantacinque pullman e decine di auto private hanno portato a Roma l'Aquila che protesta, che si sente abbandonata. Studenti, piccoli imprenditori, i sindaci di molti comuni del cosiddetto «cratere» aquilano, l'area più colpita dal sisma del 6 aprile 2009. Esponenti di comitati come il Popolo delle carriole, 3.32, Rete Aq, Cittadini per i cittadini. Tra loro anche qualcuno che non si accontenta di una protesta rumorosa ma civile. I manifestanti si radunano attorno alle 10 in piazza Venezia e ai Fori Imperiali: tante bandiere verdi e nere, colori dell'Aquila, magliette con scritte come «forti, gentili ma non fessi», striscioni come «L'Aquila è un malato grave e voi staccate l'ossigeno?», gonfaloni di comuni (Castelvecchio Calvisio, Prata d'Ansidonia, nomi tristemente noti come Scoppito, Paganica), il suono insopportabile di qualche vuvuzela «rubata» al mondiale sudafricano, un furgoncino bianco utilizzato dai manifestanti per comizi volanti. Obiettivo dei manifestanti, protestare davanti alla Camera dei deputati e poi al Senato. Ma all'imbocco di via del Corso la polizia in tenuta antisommossa li blocca: non si vuole che i manifestanti giungano a piazza Montecitorio, dov'è in corso un'altra protesta di sordomuti. A centinaia cercano di forzare il blocco e vengono respinti duramente. Vola anche qualche manganellata: ne fanno le spese Vincenzo, pizzaiolo, che tampona la ferita con una t-shirt che userà poi come bandiera; e Marco, 27 anni, un giovane a cui il terremoto ha tolto la casa e la giornata di ieri regala un piccolo turbante in testa a fermare una ferita. Nei tafferugli finisce anche Massimo Cialente, sindaco dell'Aquila, che va in terra e finisce calpestato. La sua successiva indignazione sarà gelata dal sottosegretario Carlo Giovanardi: «Quando vedo il sindaco dell'Aquila Cialente e l'ex presidente della Provincia Pezzopane, ambedue noti esponenti politici del Pd, in giro per Roma alla testa dei manifestanti contro il governo, mi corre l'obbligo di ricordare che da 13 mesi aspetto dagli amministratori locali le indicazioni su come spendere 12 milioni di euro stanziati nel maggio 2009 dal dipartimento famiglia per strutture per bambini, anziani, famiglie in difficoltà. Se i suddetti capopopolo se ne stessero all'Aquila a lavorare perla ricostruzione, sicuramente non dovremmo registrare questi vergognosi, incredibili ritardi perla realizzazione di strutture che per loro responsabilità sono ancora totalmente al palo». Nel frattempo nel corteo tornala calma. I manifestanti vengono fatti passare attraverso un piccolo varco nel blocco, risalgono via del Corso e raggiungono largo Chigi. Restano qui a lungo, bloccando uno snodo fondamentale del traffico del centro storico romano, mischiandosi a chi va per saldi alla Galleria Sordi, conquistandosi la facile solidarietà dei politici dell'opposizione in libera uscita da Montecitorio: passa come un papa Marco Pannella, i capelli candidi legati in una coda da toro seduto, che si prende gli applausi come abruzzese doc; si affaccia Antonio Di Pietro che fa il Robespierre alla molisana incitando alla «rivolta sociale», mentre il segretario del Pd Pierluigi Bersani, convinto di prendersi qualche applauso facile, si becca più di un fischio («siete venuti all'inizio a fare le passerelle, poi non si è visto più nessuno», gli gridano), ma finge di prenderla bene: «C'è esasperazione e troppo silenzio - spiega - Quanto a noi le nostre proposte sono state oscurate». Dopo un po' i manifestanti tornano a muoversi: vogliono andare in Senato dove è in discussione la manovra finanziaria. Lungo l'itinerario però gli aquilani passano davanti all'imbocco di via del Plebiscito dei più facinorosi non sanno resistere: forzano il cordone delle forze dell'ordine, scavalcano i blindati e stringono d'assedio Palazzo Grazioli, residenza romana del presidente. Urlano «vergogna», praticano lo sport molto comune dell'insulto a Berlusconi: «Hai sfruttato il nostro dolore. Vieni qui se hai il coraggio», gridano. Poi, stanchi di stare con le mani in mano, alcuni manifestanti se la prendono con un furgone dei carabinieri. Scrivono con lo spray «L'Aquila non dimentica. Merde e servi!», poi sgonfiano le ruote. Soddisfatti i manifestanti tornano sull'itinerario previsto: via delle Botteghe Oscure, largo Argentina, corso Vittorio Emanuele e poi piazza Navona. La giornata della rabbia volge al termine. Per fortuna. E in serata il questore della capitale Giuseppe Caruso presenta la sua relazione al ministro dell'Interno Roberto Maroni e al capo della polizia Antonio Manganelli. A provocare i tafferugli, dice il questore, «sono stati pochi elementi estranei ai terremotati. Rappresentanti dell'area antagonista e dei centri sociali di Roma e l'Aquila che hanno incitato chi dimostrava pacificamente a forzare il blocco per strumentalizzare possibili disordini». E Maroni aggiunge: «Verificheremo i fatti».



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