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Così il metodo Travaglio-Feltri produce disastri

• da Il Riformista del 8 luglio 2010

di Stefano Cappellini

Quando si dice che il dibattito pubblico di questo paese è ostaggio delle consorterie interessate e degli ultras ci si limita a constatare una realtà sotto gli occhi di tutti. Ma raramente questa banale verità si materializzata così platealmente come in occasione dell'ultimo - chiamiamolo così -"caso Napolitano". I fatti. Un pugno di senatori dei Pd. capitanati dal costituzionalista Stefano Ceccanti e dall'ex pm Felice Casson, propone in commissione Affari costituzionali al Senato un emendamento al Lodo Alfano per meglio ,garantire 1'immunità al presidente della Repubblica durante il settenato. In sostanza l'intento è evitare che lo scudo di cui godrebbe il capo dello stato sia, a differenza di quello per premier e ministri,subordinato a un via libera parlamentare della maggioranza del momento. Un surplus di garanzia per la più alta carica della Repubblica.
Giusto? Sbagliato? Sono naturalmente legittime opinioni diverse, su questo singolo emendamento come più in generale - sull'opportunità che sia approvato il nuovo Lodo costituzionale. Succede invece che un quotidiano d'opposizione, Il Fatto, decide che questa proposta merita l'apertura dell'edizione dell'altroieri e la addita come prova che è in corso un colossale inciucio dietro le quinte. La tesi del quotidiano, espressa abbastanza chiaramente, si fonda su due sospetti tra loro collegati: il primo è di intelligenza col nemico, ovvero che il Pd stia trattando qualcosa sottobanco col premier, non solo «collaborando» al varo del Lodo, ma addirittura spianando la via per l'immunità totale di Silvio Berlusconi se e quando il Cavaliere dovesse salire sul Colle; il secondo è che i parlamentari democrat abbiano agito su mandato del Quirinale. Sciaguratamente, dopo questa intemerata i firmatari dell'emendamento decidono di ritirare la proposta, difendendone sì la legittimità e le ragioni (lo ha fatto lo stesso Ceccanti ieri sul Riformista e oggi sull'Unità), ma di fatto comportandosi come se fossero stati sorpresi col sorcio in bocca. Il giorno dopo, cioè ieri, il Giornale di Vittorio Feltri salta sulla "notizia" - chiamiamola anche questa così, per comodità - e spara a tutta pagina: «Ma che ha combinato Napolitano? Il Pd propone di dare al Presidente l'impunità totale. E ora ci si chiede quale sia l'inconfessabile segreto che va protetto anche al prezzo di un simile figuraccia». Sorvoliamo sul fatto che il quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi - promulgatore di una dozzina abbondante di leggine ad personam - usi una foto di Napolitano accompagnata dalla scritta: «Vogliono sottrarlo alla legge». Il miglior Cuore non avrebbe saputo fare di meglio. Il punto è che Feltri si produce in un fondo per dire che, per carità, lui non ha sospetti su eventuali recondite malefatte del capo dello Stato, giammai lo penserebbe, figurarsi, nemmeno si pone la domanda - chissà che strigliata si sarà preso il titolista per aver espresso il concetto esattamente contrario, sarà conciato peggio di Barbato però questa, conclude Feltri, è la prova provata della doppia morale della sinistra, che protegge gli amici suoi e strepita se è Berlusconi a farsi proteggere. A questo punto un infuriato Quirinale, che non poteva più tacere davanti a questo gioco delle parti, diffonde una dura nota: «La Presidenza della Repubblica resta sempre rigorosamente estranea alla discussione, nell'una o nell'altra Camera, di proposte di legge d'iniziativa parlamentare. Ciò nonostante il quotidiano Il Giornale - dopo che già ieri Il Fatto Quotidiano era intervenuto ambiguamente sull'argomento ha tratto spunto da tale vicenda parlamentare per un sensazionalistico titolo e articolo di prima pagina, destituiti di qualsiasi fondamento, la cui natura ridicolmente ma provocatoriamente calunniosa nei confronti del Presidente della Repubblica non può essere dissimulata da qualche accorgimento ipocrita: la Presidenza non può non rilevarne la gravità». Seguiva contro-replica di Feltri: «Non ce l'avevo con Napolitano». E arrivavano anche le scuse di Berlusconi: «Non c'entro nulla e non condivido l'iniziativa del Giornale», ha detto in privato il premier al presidente della Repubblica nel corso del loro incontro di ieri al Quirinale. Il bilancio di questa corrispondenza d'amorosi sensi tra metodo Travaglio e metodo Feltri è sconfortante. Un'iniziativa parlamentare esercitata al fine di migliorare una legge, che non significa ovviamente condividerla, viene non criticata in sé ma spacciata come atto di collaborazionismo e alto tradimento. L'idea che gli esecutori di questo presunto inciucio siano il cattolico veltroniano Ceccanti e l'ex pm Casson testimonia che non c'è più argine, neanche quello del ridicolo, alla incultura del sospetto. Ceccanti e Casson, del resto, ci mettono del loro in questo disastro, rinunciando all'esercizio del loro mandato e piegandosi alla logica di chi vorrebbe che l'opposizione in Parlamento si limitasse a scaldare il banco, e magari ogni tanto occupare l'aula e innalzare cartelli con su scritto «vergogna» (naturalmente, tra i fautori di questa linea di condotta è frequente lamentarsi per quanto svilito e vilipeso sia il ruolo del Parlamento). Il loro capogruppo Anna Finocchiaro si premura di precisare che non era al corrente dell'emendamento proposto (ma non è peggio questo che, eventualmente, aver dato il via libera?). Il Giornale, grazie alla copertura a sinistra del Fatto, può finalmente attaccare senza remore Napolitano, cercando di delegittimarlo e preparando il terreno a nuovi e più mirati assalti quando Berlusconi deciderà che è il momento di sfidare di nuovo il Colle. Ecco quanto può arrivare lontano un sospetto (sbagliato). Una distanza inversamente proporzionale a quella che è destinata a percorrere una sinistra contenta di farsi eterodirigere in questo modo.



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