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Le ragioni di un silenzio a malincuore

• da La stampa del 8 luglio 2010

di Mario Calabresi

La Stampa domani mattina non sarà in edicola, come la maggior parte dei quotidiani italiani, nel tentativo estremo di protestare contro la cosiddetta legge sulle intercettazioni, una legge che consideriamo sbagliata perché non sembra scritta per garantire una maggiore privacy agli italiani (diritto sacrosanto) ma per rendere più problematiche e difficili indagini e inchieste e per diminuire le possibilità dei cittadini di sapere cosa accade. Così abbiamo deciso di aderire a questo sciopero, ma non posso nascondere che lo abbiamo fatto a malincuore, dopo aver proposto e indicato per settimane possibili strade alternative secondo noi più efficaci e valide. Strade che abbiamo sperimentato sulle pagine di questo giornale spiegando con chiarezza ai lettori come la legge in discussione in Parlamento diminuirebbe la loro possibilità di essere informati e di poter giudicare consapevolmente. Siamo convinti che nel momento in cui si denuncia il tentativo di imbavagliare l'informazione, nel momento in cui il presidente del Consiglio invita i cittadini a scioperare contro i giornali lasciandoli invenduti in edicola, la scelta migliore da fare fosse quella di continuare a far sentire la propria voce (in modo sereno, pacato e credibile, come è nella tradizione di questo giornale), non quella di rinunciare ad arrivare nelle edicole e nelle case degli italiani e di condannarsi al silenzio. Nonostante la nostra contrarietà allo sciopero, abbiamo aderito per senso di responsabilità: per non aprire fronti polemici e per non creare fratture tra giornali e giornalisti in un momento così delicato, ma ci teniamo a sottolineare che pensare di ricorrere allo sciopero in modo rituale e quasi obbligato è qualcosa che non ci trova d'accordo. Vale però la pena di ricordare un'altra volta che lo scontro sulla legge non è una questione privata tra il potere politico e i giornalisti, ma una questione che investe per intero la nostra società. Non è in pericolo la libertà dei cittadini onesti di poter parlare liberamente la telefono, ma è in discussione la possibilità di proteggere i cittadini onesti dalla criminalità, dalla delinquenza e dalla corruzione. La domanda corretta da porre agli italiani non è: «Volete voi rischiare di essere intercettati?», ma «Volete voi che i delinquenti possano avere più libertà di agire?». Perché restringere in maniera punitiva i tempi dell'indagine su un'utenza telefonica significa diminuire le possibilità di bloccare un crimine e proteggere la comunità. Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, parlando a Montecitorio una settimana fa, ha sottolineato gli aspetti delle nuove norme e ha concluso amaramente: «Sarebbe gravemente minata l'efficacia dell'azione investigativa e processuale». Quanto alla possibilità di pubblicare le intercettazioni sui giornali, noi concordiamo sulla necessità di salvaguardare la privacy degli imputati e sul rispetto di leggi che vietino di dare in pasto all'opinione pubblica semplici sospetti o, ancor peggio, innocenti coinvolti loro malgrado in un'inchiesta. Il punto sensibile è un altro, è la pretesa di ridurre la conoscenza delle inchieste in corso e dei grandi scandali a delle pillole di informazione fino all'inizio del processo vero e proprio, che in Italia si sa comincia dopo anni. Ci sono poi le maxi multe, particolarmente odiose perché spingeranno gli editori - le prime vittime - a preoccuparsi continuamente per ciò che viene scritto e pubblicato. In queste ore però qualcosa sembra muoversi ed è importante continuare a chiedere che il testo della legge venga cambiato, che si rivedano i tempi e i meccanismi delle proroghe, le regole sulle intercettazioni ambientali e che si ripristini il diritto dei cittadini a essere considerati degni di essere informati. Sabato torneremo in edicola, convinti di dover continuare a fare il nostro dovere, che non è quello di portare avanti battaglie ideologiche ma di raccontare ai nostri lettori tutto ciò che merita di essere conosciuto.



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