Scudi di plastica, manganellate, spintoni, urla, slogan, sangue, sudore, sfinimento e un mare di rabbia: la rabbia impotente dei terremotati dell'Aquila arrivati a Roma per chiedere meno tasse e più sostegno all'economia e accolti come black bloc. Una giornata d'inferno che si chiude tra polemiche e accuse al calor bianco, tre feriti con la testa rotta dagli sfollagente e il traffico della capitale completamente paralizzato. «Non ci saremmo mai aspettati una cosa del genere» è il commento corale dei circa 5 mila dimostranti mentre, esausti e demoralizzati, salivano sui pullman e le auto che li avrebbero riportati alle loro villette, ai loro paesi devastati, ai loro alloggi di fortuna. Un comunicato della questura, in serata, parlerà di «appartenenti all'area antagonista e rappresentanti dei centri sociali che incitavano a forzare il blocco per strumentalizzare possibili disordini». Mentre il ministro Maroni annuncia un'indagine sugli scontri. Nessuna bandiera di partito, ma decine di vessilli verde e nero, i colori della speranza e del lutto che la città assunse dopo il terremoto del 1703. «L'Aquila/1'Aquila» lo slogan ritmato e ossessivo che ha accompagnato le lunghissime ore di tensione. Striscioni come «Forti, gentili e incazzati neri», «Diritti, non favori, siamo cittadini e non sudditi». Contestazioni, fischi, insulti, grida di «Servi» e «Buffoni» un po' per tutti: Berlusconi e Bertolaso i bersagli preferiti ma qualche fischio tocca anche a Bersani, Pannella e perfino a Di Pietro che, arrivato nel momento più difficile, ha salvato la situazione dopo una trattativa coi responsabili del servizio d'ordine. Tutto comincia verso le 10,30 quando da piazza Santi Apostoli (dov'era stato autorizzato un sit in senza corteo con delegazione in Parlamento e conclusione a piazza Navona) i dimostranti puntano verso il Corso. Obiettivo: palazzo Chigi. All'imbocco su piazza Venezia un triplo cordone di agenti, carabinieri e finanzieri in tenuta anti sommossa li respinge con decisione. Motivo ufficiale: davanti al Parlamento c'è già una manifestazione di disabili. In tanti spingono, spingono fino a quando il blocco degli uomini in divisa cede, arretra e si sfalda. I carabinieri corrono verso piazza del Parlamento seguiti da tutti gli altri e poi si ricompattano all'altezza di via di Pietra. Ma i dimostranti li raggiungono in pochi istanti e ricominciano a spingere. È il momento più duro. «Delinquenti, buffoni, fascisti, vergogna», urlano i terremotati cercando di forzare il blocco. Volano bottiglie di plastica piene di acqua minerale, qualche agente perde il controllo e comincia a sferrare manganellate a casaccio. Vincenzo Benedetto, 30 anni, pizzettaro, aderente a "Epicentro solidale", qualche precedente alle spalle, finisce a terra in una pozza di sangue. «Non mi ha ucciso il terremoto, figurarsi qualche bastonata ma il dolore ce l'ho dentro» spiegherà più tardi, le ferite fasciate da un medico di Paganica. Stessa sorte e stessa umiliazione per Marco De Nuntis, 27 anni, disoccupato e per un signore di 63 anni che si defila quasi subito. Il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, viene spintonato e strattonato, qualcuno gli pesta i piedi e finisce al pronto soccorso in crisi di ipertensione. «Non ci bastava un terremoto, abbiamo preso anche le botte», commenterà con asprezza. Un paio di manganellate anche per il parlamentare del Pd Giovanni Lolli. E ancora urla, fischi, slogan, insulti. Avia del Corso piomb aAnto nio Di Pietro, la polo celeste zuppa di sudore, con una pattuglia di parlamentari IDV e la situazione si sblocca. I dimostranti riescono ad arrivare a palazzo Chigi e ci restano per un'ora circa. Ma siamo solo all'inizio. Poco dopo le 14, il corteo defluisce verso piazza Navona ma a via dei Plebiscito, vicino palazzo Grazioli, qualcuno tenta ancora di sfondare. Altre manganellate, altre spinte, gli scudi di plastica schierati a testuggine, centinaia di persone che arrivano dì corsa con le braccia alzate. Dura tre quarti d'ora buoni poi tutto il gruppo devia su un percorso meno "a rischio", imbocca via Botteghe Oscure e finalmente approda a piazza Navona. Maurizio Scelli, deputato del Pdl sceglie il momento sbagliato per farsi vedere: lo accolgono fischi, urla di «Servo, venduto, vai a cena da Bertolaso». L'esponente berlusconiano tenta di argomentare e poi batte in ritirata. La tensione tracima in parlamento dove il deputato IDV Franco Barbato, viene messo ko dal diretto di un parlamentare del Pdl. Poi, verso le 17,30, tra brevi scrosci di pioggia e un'umidità tropicale, comincia la marcia del ritorno. Corso Vittorio bloccato, sit in improvvisati sul Lungotevere e un'ultima fiammata a via Ulpiano, davanti alla sede della protezione civile: sputi, slogan, l'indignazione come una marea montante: «Bertolaso pezzo di...» «3,32, io non ridevo» «Rispettiamo solo i pompieri». Poi un lungo applauso per le vittime del sisma. Al momento di salire sul pullman, molte lacrime e occhi rossi anche se, in tutta questa giornata da dimenticare, non è partito un solo lacrimogeno