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Una bugia di Bocchino l'invito a casa Vespa per l'ex leader di An

• da Il Giornale del 12 luglio 2010

di Francesco Cramer

Al finiano più finiano di Fini, Italo Bocchino, proprio non dev'essere andata giù quella cena «non cena» da Bruno Vespa di giovedì scorso. Così, forse mal digerita l'esclusione del suo faro Gianfranco, ha cucinato altre critiche nei confronti del Pdl, chiedendo le dimissioni di molti big del suo stesso partito, col contorno di una bugia bella e buona. «Fini era invitato». No, balle. Ecco come è andata: all'inizio è giallo. Quel cartoncino con Rsvp Répondez s'il vous plaît, Gianfranco Fini l'ha effettivamente ricevuto o no? La convocazione da parte di Vespa, che giovedì sera ha riunito nella sua casa a Trinità dei Monti Berlusconi, la figlia Marina, Casini, Letta, il segretario di Stato Vaticano Bertone, il governatore di Bankitalia Draghi, il presidente di Generali Geronzi e tanti altri, è arrivata anche sul tavolo del presidente della Camera o no? Il finianissimo Bocchino giura di sì: «A quella cena era stato invitato anche Gianfranco Fini che però ha preferito raggiungere le figlie al mare». Peccato che il padrone di casa abbia smentito: «Il presidente della Camera Fini non è stato invitato alla cena con Berlusconi e Casini», ha precisato il conduttore di Porta a Porta. Il quale ha ammesso che sì, ha chiesto a Fini di partecipare a una serata ma «con altri amici nei prossimi giorni. Ma il presidente ha risposto di dover declinare l'invito perché impegnato fuori Roma». Chi ha detto la verità? Il giallo s'è stinto ieri fino ad assumere il colore rosso imbarazzo per lo stesso Bocchino quando dall'entourage di Fini s'è ammesso che un invito ufficiale da parte del giornalista c'era ma non per la stessa serata in cui era presente il Cavaliere. Bocchino quindi ha detto una bugia, una balla, una frottola. Perché quindi Bocchino ha mentito? Ha fatto confusione con l'agenda, peraltro non sua, o s'è premurato di non far apparire il suo leader «isolato»? Mistero. Ma al di là del caso politico-mondano, anche ieri s'è riacutizzato quello politico-velenoso. Il tandem Bocchino-Granata, ossia l'anima più intransigente del finismo, ha nuovamente pedalato verso il giustizialismo più acuto. Bocchino s'è detto «preoccupato per il risvolto di malcostume nel partito» e, a proposito dell'inchiesta sull'eolico che getta ombre sul coordinatore Pdl Denis Verdini, è andato giù duro: «Berlusconi risolva il caso come ha fatto con Brancher». Ossia, lo dimetta. Dimissioni invocate anche per l'assessore alla Regione Ernesto Sica (che in serata si è dimesso) e per l'acerrimo nemico Nicola Cosentino, considerato «oggettivamente incompatibile con la guida del Pdl campano». E pure Fabio Granata non è stato tenero quando rispondendo a una domanda di Klaus Davi se temesse che qualche ministro possa essere coinvolto nel cosiddetto «scandalo della P3» ha risposto «Temo di sì». E ancora: «Chi fosse coinvolto in lobby occulte deve fare un passo indietro. Auspico un passo indietro da parte di chiunque invece di occuparsi di politica si occupa di affari». Parole che non sono piaciute a molti pidiellini. Per esempio ad Amedeo Laboccetta secondo il quale «ormai è chiaro a tutti che Bocchino tenta l'ultimo colpo di coda per destabilizzare il Pdl. Stia certo però che l'operazione non gli riuscirà». E anche Edmondo Cirielli protesta: «L'onorevole Bocchino non si smentisce mai, pronto, come sempre, al più bieco sciacallaggio politico contro esponenti di spicco del Pdl, coinvolti, senza prove, in scandali mediatici».
 



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