Ogni giorno trova conferma la verità del vecchio detto secondo cui il Maligno si nasconde nei dettagli. Così, mentre i temi generali sulla manovra finanziaria vengono largamente dibattuti e saranno, alla fine, risolti da un maxi emendamento su cui il governo porrà la fiducia, le lotte intestine per spostare preventivamente singole poste di pochi o molti milioni di euro, dall'uno all'altro articolo della legge, si svolgono nella disattenzione dei cittadini, che non sono neppure al corrente delle faide in corso, del frenetico attivismo delle lobbies, degli scambi inverecondi tra politica e affari. Un caso tipico è quello dell'art. 45, introdotto da Tremonti per porre un freno alla speculazione sugli incentivi - i più alti al mondo - che il nostro paese destina agli impianti eolici. Non è per vantare dei meriti ma nella nostra rubrica ci eravamo più volte rivolti al ministro dell'Economia proprio perché tra i risparmi possibili non trascurasse qualche sano taglio in un settore che, non per caso, è diventato un pascolo frequentatissimo dalla criminalità organizzata. Tra tante critiche a Tremonti va ascritto a suo merito aver abolito l'obbligo all'autorità pubblica del settore, il Gestore del Mercato elettrico, di acquistare i «certificati verdi» che risultassero invenduti, con un risparmio sulle bollette di almeno 600 milioni nel solo primo anno. Tenterò di chiarire ai lettori di che si tratta, in termini elementari: i certificati verdi sono dei bond che vengono rilasciati come incentivo a chi produce energie alternative al petrolio. Questi bond avevano finora un prezzo pressoché fisso che si aggirava tra gli 80 e i 100 euro. Li acquistavano le industrie inquinanti, a cominciare da alcuni petrolieri, che in tal modo «ripagavano» le multe che altrimenti avrebbero dovuto sborsare per non aver ancora ottemperato all'obbligo di risanare le produzioni, figurando virtualmente come produttori di energia verde senza in realtà procedere alla svolta ecologica reale. Gli accordi internazionali obbligano infatti l'Italia a raggiungere la quota del 25% di produzione energetica da fonti rinnovabili, salvo pagamento di salate sanzioni. In definitiva i «palazzinari del vento» avevano convenienza a costruire torri eoliche anche dove non spira un alito di brezza e gli inquinatori trovavano una facile scappatoia per continuare ad avvelenare l'ambiente. Il tutto scaricato sulle bollette. L'aposta in gioco è così alta che i partiti si sono divisi ed anche le organizzazioni ambientaliste. Al Senato ben 18 emendamenti per sopprimere l'art. 45 sono stati presentati da parlamentari di quasi tutti i gruppi. Come ha detto Emma Bonino «qualcuno li ha presentai dietro pressioni varie, senza capire cosa stava presentando. E allora - ha aggiunto - è il caso di essere chiari: l'attuale obbligo di riacquisto dei CV ha trasformato questi titoli in bond garantiti non dallo Stato ma dalle bollette degli italiani. Invece di essere contrattati sul mercato e quindi avere un prezzo variabile, sono a prezzo fisso, tanto poi ci sono i fessi che pagano. Tremonti abolendo il prezzo fisso (e l'obbligo pubblico di riacquisto ndr) ha cancellato una ingiustificata rendita di posizione e uno stimolo alla speculazione sulle rinnovabili. Per una volta: bravo Tremonti!» Ma il solitario e giusto plauso della Bonino non si era ancora spento che si scatenava nel sottobosco di Palazzo Madama, l'armeggio etero diretto per ricondurre i padri coscritti a più accorti consigli, ottenendo qualche primo successo. Primo fra i quali lo spostamento di un anno, dal 2010 al 2011, dell'esecutività della misura. E in Italia come è noto l'arte del rinvio non conosce limiti. Sarà bene che i consumatori, i politici onesti e gli industriali veri aprano bene gli occhi su come andrà a finire la vicenda. Qualunque sia il giudizio complessivo sulla manovra sostenuta da Tremonti, bisogna, quindi, riconoscere che l'articolo 45, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta finalmente una virtuosa in versione di tendenza. Auguriamoci che la potente lobby dell'eolico non riesca a cancellarlo.