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Segnali di disgelo fra Usa e Cuba "È adultera, lapidatela" il mondo si mobilita l'Iran rinvia la condanna

• da la Repubblica del 12 luglio 2010

di Vincenzo Nigro

Una donna, ancora una volta una donna, riesce a mettere drammaticamente a nudo le paurose contraddizioni del regime iraniano. Lei si chiama Sakineh Mohammadi Ashtiani, è una madre di 42 anni, in carcere perché accusata di adulterio. Un tribunale islamico l'ha condannata nel 2006 alla pena di morte. Nel 2007 la Corte suprema iraniana ha confermato la condanna alla lapidazione, il supplizio previsto per le adultere. Un tipo di pena che in passato è già stato applicato molte volte ma che nel caso di Sakineh ha scatenato una mobilitazione internazionale senza precedenti. Vacillano le certezze della parte più militante del regime iraniano, mentre l'ala più moderna dell'apparato e della politica a Teheran si impegnano nelle proteste. Il caso giudiziario è del tutto incerto: Sakineh fu condannata sulla base di una confessione che il suo avvocato Mohammad Mostafei denuncia essere stata e storta dopo una punizione di 99 frustate. E stata accusata di aver avuto rapporti con due uomini fuori dal matrimonio, ma suo marito era morto, e non è mai stato chiarito il tipo di rapporto avuto dalla donna. All'interno delle istituzioni iraniane si è aperto un dibattito sotterraneo, ma profondo sulla legittimità della condanna e sulla vergogna che ricadrà su tutta la Repubblica islamica se ancora una volta una donna verrà lapidata. Un confronto che dal 2007 di fatto ha bloccato l'esecuzione. La pena di morte comminata con lapidazione è praticamente una tortura: la vittima deve essere sotterrata in modo da lasciar spuntare dal terreno solo la testa. Le pietre che le possono essere lanciate contro devono essere appuntite e taglienti, ma non talmente grandi da poterle infliggere immediatamente la morte. Gli ultimi a praticare con entusiasmo militante una simile barbarie erano i Taliban nei mesi in cui regnavano a Kabul. Il responsabile dell'ufficio dei Diritti umani a Teheran, Mohammad Javad Larijiani, ha annunciato che condanne di questo tipo «verranno attentamente riviste e probabilmente cambiate». Larijiani è il fratello di Ali Larijiani, il conservatore presidente del Parlamento di Teheran, che però è su posizioni duramente critiche del presidente Ahmadinejad. I due fratelli Larijiani stanno seguendo come tutti in Iran in questi giorni il diluvio di proteste che cresce contro la lapidazione di Sakineh. Sul sito freesakineh.org migliaia di firme si aggiungono di ora in ora a quelle di chi ha lanciato l'appello. Ma questa volta assieme a leader politici e intellettuali si sono schierati cantanti, giornalisti, premi Nobel, attori ed esponenti di quel mondo dei media e della cultura internazionali capaci di mobilitare le opinioni pubbliche molto più del Dipartimento di Stato o del Quai d'Orsay francese (che pure hanno protestato). Non è il mondo della politica contro il progetto nucleare iraniano, è un mondo di uomini e donne che implora la salvezza di una madre.



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