È comprensibile la tentazione del centrodestra di reagire all'inchiesta che riguarda il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, facendo quadrato. Corrobora la tesi del complotto antigovernativo della magistratura. Serve a serrare i ranghi, a costo di additare i dubbiosi come sabotatori, assimilabili agli avversari. Eppure, vicende del recente passato hanno reso applicabile al centrodestra la massima che l'ex premier Giulio Andreotti aveva dedicato ai «quadrati» che la Dc costruiva per difendere i suoi uomini sotto accusa: alla fine, al quadrato mancava sempre un lato. Il lato mancante dipendeva dalla spregiudicatezza politica di chi contava sulle disgrazie altrui; ma anche dal fatto che alcuni personaggi erano indifendibili. Non è ancora chiaro a quale categoria appartenga Verdini: se di vittima delle congiure e del cinismo altrui, o di artefice della propria disgrazia giudiziaria. L'effetto che le sue vicende stanno producendo sul centrodestra, tuttavia, comincia ad assumere contorni chiari. Silvio Berlusconi è portato quasi d'istinto a difendere ad oltranza esponenti discussi, e magari imputati, ritenendolo il primo dovere di un leader politico: a costo di pagare un prezzo sempre più alto. Si è visto coni casi del ministro Scajola, del neoministro Brancher, del sottosegretario Cosentino; e adesso del coordinatore del partito, risucchiato nell'inchiesta della Procura di Roma sugli appalti per l'energia eolica in Sardegna accanto, fra gli altri, proprio a Cosentino. Si può magari ironizzare sul sottobosco di logge e lobby segrete che incorniciano questo nuovo spaccato della nomenklatura: sono un tocco aggiuntivo che rischia di sviare l'attenzione. L'effetto dei primi risultati delle indagini è però quello di schiacciare e velare anche quanto di buono, poco o tanto che sia, il governo cerca di fare. Vengono messi in ombra alcuni successi indubbi del Viminale nella lotta alla criminalità , una manovra economica ambiziosa e contestata e il tentativo tormentato di riforma dell'Università . E si finisce per concentrare l'attenzione un po' disgustata dell'opinione pubblica soltanto sul binomio politica-malaffare. Può darsi che ci sia chi vuole esagerare questi intrecci inquietanti; trarne conseguenze definitive e liquidatorie, e ricavarne vantaggi. Ma il modo in cui Palazzo Chigi e la maggioranza difendono se stessi e coprono anche gli angoli bui dove invece sarebbe bene fare entrare qualche lama di luce non sembra di buon auspicio. È rischioso lanciare ipotesi improbabili di unità nazionale mentre il Pdl vive in trincea. Lo scarto fra presente e futuro accentua solo l'affanno in cui vive oggi la coalizione berlusconiana, prigioniera in un cul de sac politico-giudiziario. Si sta rivelando illusorio riuscire a tenere dentro tutto, rami secchi e marci compresi: al punto che c'è da chiedersi se Berlusconi possa andare avanti senza reciderli, condannandosi all'immobilismo e ad un'agenda dettata dall'esterno. L'impressione è che «la strategia del quadrato» non basti più. Manca sempre una sponda: oggi Fini; domani, magari, Bossi. E alla fine, il lato mancante potrebbe essere un elettorato che appena due anni fa ha consegnato il Paese al centrodestra.