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«Dietro mandato del presidente Formigoni»: secondo gli investigatori il gruppo della cosiddetta P3 non si mosse affatto in maniera autonoma per ottenere un'ispezione ministeriale, contro quei giudici che avevano osato estromettere il «listino» del governatore; era Formigoni stesso che la voleva. «Completamente falso e infondato», replica - tramite il portavoce il presidente della Regione Lombardia. E, per ora, non aggiunge altro. Il riferimento a Formigoni è contenuto in un'informativa dei carabinieri del nucleo investigativo di via in Selci, a Roma, datata 18 giugno. L'oggetto centrale è in realtà il presidente della corte d'appello di Milano, Alfonso Marra, o meglio «l'emblematica vicenda che lo ha visto protagonista» e che così viene descritta: «Non appena Marra ha ottenuto, dopo un'intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (ed in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l'ambita carica, i componenti dell'associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell'ambito della nota vicenda dell'esclusione della lista "Per la Lombardia"». Piccolo passo indietro, all'inizio della campagna elettorale per le ultime regionali. Due liste vengono clamorosamente escluse: quella del Pdl in Lazio (presentata in ritardo) e il «listino» del candidato governatore Roberto Formigoni che porta con sé l'esclusione momentanea dell'intero schieramento di centrodestra, Lega compresa, in Lombardia. La corte d'appello di Milano accoglie infatti il ricorso dei radicali che denunciava «irregolarità » nelle firme raccolte. E' il primo marzo e proprio quel giorno viene intercettata una telefonata ad Arcangelo Martino, l'ex assessore napoletano ora agli arresti. Dall'altro capo del filo c'è proprio Formigoni: «Ma l'amico, l'amico... l'amico Lombardo, Lombardo lì...Lombardi è in grado di agire?». Lombardi Pasquale agisce, in effetti, e va pure a trovare l'amico Marra. Lo racconta lo stesso presidente della corte d'appello: «Venne da me, in tribunale a Milano, proprio nei giorni in cui si decideva sulla lista di Formigoni e per questo lo feci cacciare via». I carabinieri nella loro informativa, danno una versione un po' diversa dei rapporti tra ì due. E soprattutto ricostruiscono un gran movimento tramite anche il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori ministeriali Arcibaldo Miller per mettere sotto inchiesta i giudici della corte d'appello. Anche quando la vicenda era già finita con la riammissione della lista da parte del Tar. E' infatti il9 marzo quando i giudici amministrativi - in punta di diritto e senza neppure citare il decreto che il governo aveva preparato in tutta fretta danno sostanzialmente ragione a Formigoni. E ancora una settimana dopo il governatore torna a chiedere a Martino: «Ma chi deve camminare sta camminando?» (si tratterebbe, secondo l'interpretazione degli investigatori, del ministro Alfano). «Chiedo a Formigoni di fare subito chiarezza su una vicenda che non si può non definire gravissima»: dice così Filippo Penati, pd, che alle elezioni era stato l'avversario diretto di Formigoni. Vuol sapere, e con lui tutta l'opposizione (e presumibilmente pure gli elettori) se in contemporanea ai ricorsi alla magistratura, ai comunicati di fuoco contro l'esclusione della lista, alle conferenze stampa - tutte cose avvenute alla luce del sole - il governatore, nell'ombra, si dava pure da fare con quei «quattro pensionati sfegati» (copyright by Silvio Berlusconi) per far valere le sue ragioni.