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Da cavaliere a imperatore

• da la Repubblica del 16 luglio 2010

di Francesco Merlo

Altro che burletta! Cesare è la denominazione che rimanda alla dominazione di Berlusconi, ma anche alla tragedia e al tradimento, all'abuso e alla corruzione, al cesarismo appunto e al soprannome malandrino che sempre nelle mafie e nelle organizzazioni segrete vale molto più del nome. "U curtu" per esempio, che identifica la fisicità ma anche la sveltezza decisionista di chi "taglia corto", esprime e protegge, ben più del nome "Totò", la sostanza - entelechiale direbbe Sciascia - del boss Riina, breve di statura e di pensiero. E Cesare è il boss italo americano che dirige a Miami il club "Amici dell'Opera" con il fasto del Napoleone stendhaliano, il coro dell'Aida per coprire la musica della lupara, quel bonapartismo di cui già parlò Fini quando era ancora considerato un alleato affidabile. E sono circa due anni che il moderato quotidiano parigino "Figaro" racconta di Berlusconi come il nemico goffo adirato e panciuto di Asterix, da quando sulla prima pagina il corrispondente Richard Heuzé firmò l'articolo: «Silvio Berlusconi agagné un sumom: César». Cesare è quella smania imperiale che spinse persino il
"Foglio" a pubblicare un enorme fotomontaggio di Berlusconi-Napoleone e adesso, senza più ironia, ha convinto la società panciuta di Carboni e Dell'Utri, di Martino e di Verdini, di Lombardi e del giudice Fofò, di Cosentino e di Caliendo a dare a Silvio il nome in codice del capo dei capi come fece nel 1931 il cinema hollywoodiano ribattezzando Al Capone con il soprannome di "Little Cesar" e i connotati di Edward G. Robinson. E sembra di vederli nei loro incontri appartati e chiassosi, da malandrini coperti, sembra di sentirli mentre commettono i loro consapevoli oltraggi alla legge evocando il nome che disarma il diritto, da un lato il lecchinaggio servile e dall'altro la complicità di chiusura e di congiura: «ammavedè Cesare», «il dossier è gia arrivato nella stanza di Cesare», «Cesare vuole prima sapere delle cose», «Cesare è contento di noi e ci deve dare qualcosa, ci deve dare te». Il soprannome non è tipico dell'operetta e della commedia all'italiana ma della cosca e dell'ambiente chiuso ed impermeabile, lodevole necessità qualche volta, come nel codice clandestino dei partigiani, per esempio, che divennero il Bestione, il Fiasca, il Lupo, il Garibaldi... Non c'è organizzazione eversiva o sovversiva che non pratichi, con il soprannome, un empirismo che dice pane al pane e vino al vino. Raffaele Cutolo era"o professore" e il suo sotto panza Pasquale Barra "o studente" che sul campo diventò "o animale" quando, in carcere, squartò Turatello e ne addentò le budella. Tra i bolscevichi, terroristi e rivoluzionari in clandestinità, Le imprese il nome da un fiume e Stalin dall'acciaio. La squadraccia fascista di Italo Balbo era detta "Celibano", traduzione in dialetto ferrarese del cherry brandy con il quale Balbo si ubriacava. E certo si può ride re del soprannome "Calamaricchiu" che però molto seria mente denomina il boss sfuggente della mafia del pesce "Spurtusaculi" è un killer che spara a pallini, alla spalle, e mira basso. "Il Papa" uccide e benedice. "Il granchio" è un trafficante di droga che a piedi nudi si muove sugli scogli neri e taglienti con la destrezza, l'agilità e la prensilità di un animale simbiotico a quell'ambiente. Oliviero Toscani dedicò un numero speciale della sua bella rivista Colors ai soprannomi di Cuba che, come tutte le isole, è una società chiusa, certamente meno della P3 anche se come la P3 ha un codice esclusivo, separato, isolato appunto, dove i soprannomi sono come le ombre di Platone e rimandano a prototipi e stereotipi, alla Ur-Pflanze, alla pianta originaria che Goethe cercava in un'isola o in una "caverna", come è oggi la P3. Alla fine dunque Cesare è molto più Berlusconi di Silvio proprio come il"Che" è molto più Guevara di Ernesto. Ovviamente trattandosi di un grande fotografo, accanto al soprannome, in quel numero di Colors c'era sempre una magnifica immagine. E già dalla foto si capiva tutto di "El rapido". Del resto se chiedete agli italiani di accoppiare una foto al soprannome "Cesare" a tutti, ma proprio a tutti, verrà in mente il piccolo imperatore Berlusconi e non solo perché con Dell'Utri e con Verdini è legato come la corda al secchio ma perché il soprannome evidenzia la sostanza e Cesare, come abbiamo detto, denomina chi domina, come "Cocha Cocha", Cozza Cozza, denomina l'autista spericolato che sbatte la sua macchina dovunque. Il soprannome, molto più del nome, esprime la verità di una persona, in codice ne riassume il senso. Previti per esempio è un Cesare che non è Cesare. Non è il suo nome. E se volessimo dargli un soprannome di verità potremmo chiamarlo "lo storto", e non solo perché e il contrario del Diritto, oppure "er magna"... Alcuni lo chiamano Cesarone dove l'accrescitivo ironizza e prende le distanze da Cesare. Ovviamente Cesare non è il solo soprannome di Berlu sconi, che è stato via via il cavaliere, sua emittenza, il caimano..; e ora, nelle caverne dell'illegalità, di una società segreta e di una mafia, è diventato il Cesare. L'evoluzione dei suoi soprannomi disegna una mappa politica e giudiziaria. Qualche tempo fa nelle intercettazioni della cricca spuntò uno "zio" che molto credibilmente venne identificato con Gianni Letta. Sono soprannomi che entreranno tutti nella sociologia e persino nei manuali di storia, che racconteranno come Berlusconi divenne «Cesare secondo i carabinieri». Cesare come connotazione-denotazione fastosa e dissipata di Berlusconi nella sua fase finale. Cesare come "il bel René" e come Anna Terracciano chiamata "o masculone", o come "u gambuzza", o il "banchiere di Dio". Non ci sono insomma Bruto e Cassio, non c'è Antonio e non ci sarà nessuno Shakespeare perché questa è roba da foto segnaletica, da impronte digitali, da slang della mala: Cesare come decadenza imperiale e romana, come degenerazione terminale e penale del"ghé pensi mi" milanese.



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