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La condanna a morte comminata da una corte militare iraniana alle due guardie carcerarie, delle quali non conosciamo neppure il nome, accusate di aver picchiato a morte Mohammad Kamrani, Mohsen Ruholamini e Amir Javadifar, tre giovani studenti arrestati in seguito alle manifestazioni di protesta dello scorso anno in Iran e deceduti per le violenze subite durante la detenzione nel carcere di Kahrizak, non è un atto di giustizia, né un atto di riparazione nei confronti delle vittime e delle loro famiglie, né, tanto meno, un atto di verità . Non è con nuova violenza che la giustizia avanzerà e le cose miglioreranno, Noi che nel corso dell'ultimo anno abbiamo sostenuto con forza e convinzione il movimento verde e che abbiamo chiesto la fine della repressione e della violenza e in primo luogo delle condanne a morte e delle esecuzioni capitali, rivolgiamo un appello alle autorità iraniane perché le condanne a morte siano commutate in una diversa pena. Per questa richiesta ci sono evidenti ragioni di principio: ma c'è anche la convinzione politica che in Iran bisogna rompere, e non alimentare, la spirale della violenza e imboccare al contrario la via del confronto e del dialogo. Attraverso questo gesto vogliamo anche rendere onore alle vittime che hanno sofferto e sono morte praticando una protesta non violenta.
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Pietro Marcenaro, Ahamad Rafat, Shirin Ebadi, Rita Levi Montalcini, Emma Bonino, Margherita Boniver, Gianrico Carofiglio, Pier Luigi Castagnetti, Vannino Chiti, Luigi Compagna, Giovanni Conso, Barbara Contini, Lluis Maria De Puig, Hassan Eshkevari, Piero Fassino, Giuliano Ferrara, Gad Lerner, Mostafa Khosravi, Mohsen Makhmalbaf, Matteo Mecacci, Babak Payami, Antonio Polito, Gustavo Zagrebelsky, Hamid Ziarati