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E la nomenklatura sfila in ordine di importanza

• da Il Giornale del 19 luglio 2010

di Ros.

 

Che belli, i tempi dell'Urss. Quando gli arcana imperii causavano l'intenso proliferare di «kremlinologi»: osservatori specializzati nel dedurre, dalle posizioni sul palco nelle manifestazioni del Pcus, chi saliva e chi scendeva. Sintesi perfetta di quanto la politica all'ennesima potenza fosse incomprensibile alla cittadinanza, rendendo indispensabile l'occhio esperto. Paragone da prendere con le molle, quando si finisce a parlare di nomenklatura finiana. Gruppo dirigente in fieri, e soprattutto gruppo di potere «in sonno». Ovvero, in spasmodica attesa del «botto»: la fine di Berlusconi e del suo modo sconclusionato di condursi in politica, giudicato, nel migliore dei casi, «leadership straordinaria quanto irripetibile». La rottura (se non il parricidio) è la regola dell'innovazione, predicano. I partiti sono contendibili, e «le leadership non si importano per canali extrapolitici, né si trasmettono per via dinastica». Nell'empireo di questa rampante attesa dell'ascesa, il posto d'onore sembra esser stato ormai stabilmente conquistato da Filippo Rossi, già direttore del magazine di Fare futuro e rompighiaccio di ogni retroFini-pensiero. Le sue provocazioni on-line, la sua spregiudicatezza nel dipanare e talora anticipare la linea del presidente della Camera hanno fatto breccia: al Secolo domenicale non resta che rendere omaggio a questa ruvida capacità di tradurre in termini non fraintendibili il nocciolo della questione. Difatti il giovane ideologo innesca il dibattito partendo dalla domanda base: cioè se il Pdl «esista davvero». E spiega che i «problemi sono intrinsechi al partito per come è stato voluto e per come è venuto alla luce». La «logica aziendale» imperante, scrive, significa che il prodotto «è uscito dalla fabbrica fallato, come quelle macchine che hanno bisogno di essere rispedite alla casa madre». Sul fronte combattente del Palazzo, invece, il numero due è acclarato: Italo Bocchino. Ossessionato dall'interrogativo «ma dopo il Cavaliere che ci sarà?», Bocchino sottolinea che «senza sintonia con il presidente della Camera Berlusconi è molto meno forte davanti agli attacchi che subisce ogni giorno sulla questione morale». E chi ha buone orecchie per intendere intenda. Alter ego di Bocchino, versante legalità e lotta anti-mafia, al numero tre s'è ormai consolidato l'attivissimo Fabio Granata, che chiede tout-court l'«azzeramento di una struttura fallimentare (il Pdl, ndr)». In salita, dalle colonne del Secolo, appare Angela Napoli, combattiva preside di Varallo (Vercelli) e deputata di lungo corso, già sotto scorta da anni per le intemerate contro l'illegalità mafiosa. Anche la Napoli è severa nel giudicare il Pdl di oggi: «Non mi sentirei neanche di definirlo un partito». Vecchia conoscenza parlamentare, è l'ex radicale Benedetto Dalla Vedova, finalmente accasatosi in un gruppo dirigente come si deve (meglio: come si dovrà). Memore di La Palisse, ammonisce: «Il partito strictu sensu berlusconiano finirà con Berlusconi». Cavallini di ritorno alla corte finiana - e come tali gratificati di posizioni di attenzione (siamo però nella seconda cerchia degli eletti)- Pasquale Viespoli (tra i primi a farsi indietro quando si trattava di «contarsi»), Silvano Moffa, expresidente della provincia di Roma per indole tendente al compromesso, e Roberto Menia, missino focoso e già recalcitrante all'ingresso nel Pdl, di cui ancora denuncia la «deriva cesaristica» con evidente «spaesamento dei militanti». Chiude la nomenklatura il sottosegretario all'Agricoltura Antonio Buonfiglio, che invoca una «ricostituzione dal basso». Perfetto uder statement da padrona di casa perla direttora del Secolo, la deputata Flavia Perina che pure resta tra le più assidue dello studio di Montecitorio. E legatissima al sogno di un contrordine: basterebbe che l'«istanza superiore» ordinasse, scrive, «e Fini tornerebbe una risorsa, i finiani stimati compagni d'avventura e di lotta...». Volesse il cielo.

 


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