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Da vent'anni cerco scuse per delinquenti presunti, ecco perché

• da Il Foglio del 19 luglio 2010

 

Qualcuno dei miei quattro lettori dirà: ma questo elefantino non fa che trovare scuse, talvolta magari ingegnose o almeno parzialmente convincenti, talvolta grottesche, per giustificare comportamenti indecenti del mondo politico di maggioranza che fa capo al capo del governo Berlusconi e sta dando uno spettacolo indecente di sé. Una volta è la cricca di Balducci e Anemone, una volta è la P3 di Carboni e Verdini, una volta è l'area mafiosa delle stragi del 1993, una volta è il giro Bertolaso e Letta, e prima fu per Craxi, Andreotti, insomma c'è sempre un pretesto politico-culturale da trovare, cesellare e offrire in pasto al pubblico. Che lo faccia per sprezzatura o per salvare la pagnotta, chissenefrega, concluderà uno dei quattro lettori, ma ormai il gioco è fin troppo scoperto. Non posso negare, neanche a me stesso, che il mio gioco sia fin troppo scoperto. Non posso negare che ogni tanto ho la tentazione di dire a me e a chi mi legga o mi ascolti: "Adesso basta, non è che per un contro teorema garantista e politicamente motivato degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, dalla difesa di Tortora e Sciascia alla difesa di Craxi e Berlusconi, poi si debbano assumere come persone di famiglia quintalate di marrazzoni che ne combinano di ogni tipo". E invece no, queste negazioni liberatorie non voglio e non posso concedermele. Giudicherete voi se sia per voracità, insicurezza, infantilismo autolesionista, furberia all'italiana o per altri buoni motivi che non starebbe comunque a me evocare. Chissà. Al fondo di questa cagnara scombiccherata, così palesemente perdente a fronte della paludata Italia intransigente che censura i comportamenti non ortodossi, alle vongole, e rivendica linearità e nitore di comportamento per gli amici, c'è una convinzione che mi viene dalla mia formazione marxista e materialista, dalla piccola cultura storica che mi sono fatto con qualche maestro buono il cui nome tengo riservato per pudore, dall'esperienza tra politica e giornalismo. La convinzione è che all'ingrosso il lavoro dei magistrati orientato a ripulire il mondo civile e politico dal malaffare è segnato da una tendenza antigiuridica che imbroglia le carte e mette sottosopra il giusto e il rovescio. E che senza il diritto bene applicato non c'è giustizia ma manovra politica e delazione pelosa, perché l'area grigia del potere è universale, e la differenza la fa il modo in cui si orienta una magistratura militante. I pm hanno abbattuto i vecchi partiti con la custodia cautelare in carcere. Appena con il decreto Biondi la mettemmo in discussione come mezzo di indagine, e la custodia cautelare in carcere se intesa come mezzo di indagine è paragonabile alla tortura, su di noi si abbatté una tempesta e presto fummo fatti fuori (parlo del governo del 1994, il primo presieduto da Berlusconi, che aveva vinto le elezioni). In tv i pm confessarono che non bastavano i domiciliaci, che se non potevano sbattere dietro le sbarre gli indagati, e minacciare di tenerli lì a lungo, non aveva senso il loro lavoro: era la logica della decimazione, che tanti lutti e tanto dolore ha prodotto nelle trascurabili vite, ma vite, dei colletti bianchi, cioè dei politici di partito che avevano bene o male nutrito per decenni (anche con finanziamenti irregolari, parte amnistiati parte no) questa democrazia non populista, conforme a Costituzione, che tutti gli ipocriti mozzorecchi fingono ora di rimpiangere. Oltre all'uso della tortura giudiziaria e alla pratica illegalistica del carcere preventivo, altro tratto belluino che torna da vent'anni, e da vent'anni mi costringe moralmente a stare dalla parte dei presunti delinquenti, c'è la questione della stampa. Mi piacciono i giornali e le tv, ma il loro unanimismo ideologico, il loro danzare, salvo rarissime eccezioni, il ballo musicato e coreografato dalla cultura intransigente e paragiacobina degli azionisti, questo loro rifiuto sprezzante di ogni correzione liberale al tracciato gogna e galera, tutto questo mi fa ribrezzo. È vero che lo schieramento politico di centro destra sopravvissuto con Berlusconi alla grande operazione di pulizia etnica dei primi anni Novanta eccede nello schematismo, nei toni propagandistici, mostra un'incapacità evidente o poca voglia di usare le dovute distinzioni e sfumature. È vero che a forza di proclamarsi liberali e garantisti, si finisce sulla posizione estrema di "difendere l'indifendibile" (quella che è però l'essenza dello spirito liberale secondo i libertari). Ma io continuo a pensare che se Fassino parlando con un banchiere delle coop dice al telefono "abbiamo una banca", non è un pitreista, è uno che fa politica. E che se Verdini invita a casa sua una quantità di loffioni e di mezze seghe del sottobosco pidduista, e in qualche conversazione intercettata si parla di giudici da promuovere, di Fofò e altri tipetti da mandare avanti in qualche tribunale, bè, la domanda da farsi, l'inchiesta da scrivere, non è se sia nata una P3 capace di sradicare la Repubblica (ché mi viene francamente da ridere); no, la domanda da farsi è: ma come si nominano i magistrati in Italia, tra correnti, gilde, corporazioni trasversali e voti incrociati dei Nicola Mancino e dei membri di sinistra del Csm per il Fofò di turno? Ripeto: le intercettazioni, che stanno alla politica del XXI secolo come il carcere-tortura selettivo stava alla politica della fine del secolo scorso, ci dicono chi cena con chi. Ma noi vogliamo sapere chi ha fatto che cosa, e di illegale, e se quel qualcosa sia un reato penale personale o un sistema, una modalità di funzionamento della Repubblica dei cugini e dei raccomandati.


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