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Il valore dei simboli

• da Corriere della Sera del 19 luglio 2010

di Umberto Ambrosoli

 

Gli anniversari servono a ricordare: a ridare cuore, secondo una certa etimologia, a restituire vita. Diciotto anni fa a Palermo con massima violenza fu posto termine all'impegno di Paolo Borsellino. Con gli uomini della sua scorta, fu eliminato non solo il capace magistrato, autore del periodo di grandissimo contrasto istituzionale alla criminalità mafiosa, ma anche il simbolo di uno Stato capace di perseguire i reati, di scoprirne gli autori, di assicurare loro la pena, di non scendere a patti, di controllare il territorio. Uno Stato verso il quale rivolgersi con fiducia. Esempi come quello di Borsellino hanno la forza di restare nella memoria e di crescervi liberi dalla violenza di chi volle morte; essi sanno insinuarsi anche nei cuori di coloro che, per ragioni cronologiche, li hanno conosciuti più studiando la storia che guardando i telegiornali. Infatti, da diciotto anni, la vita di Paolo Borsellino è spesso insegnata nelle scuole siciliane (e non solo): perché, come già disse Carlo Alberto Dalla Chiesa negli Anni 50, la mafia è un problema culturale prima che criminale, quindi non sarà sconfitta dalla repressione, dalle indagini e dai processi. Sarà, invece, battuta da chi insegnerà alle nuove generazioni l'esistenza di una cultura diversa, alternativa a quella mafiosa, capace di regolare una società senza violenza e sopraffazione, con il rispetto dei diritti e delle capacità di tutti. Insegnare nelle scuole l'esempio delle tante vite che hanno interpretato quella cultura credendoci fino in fondo semina consapevolezza, responsabilità e speranza. La diffusione di quegli insegnamenti, proprio nelle terre che più di altre vivono gli effetti deleteri della cultura mafiosa, fa germogliare idee e regole che divengono punti di riferimento per tutto il Paese. È nata, ad esempio, dall'associazione degli imprenditori catanesi la norma secondo la quale chi si piega al pizzo non può fare parte dell'associazione: chi, anche se per paura, riconosce l'autorità mafiosa non può stare con chi vuole confrontarsi nel mercato per qualità, idee, capacità di fare impresa, competitività. Oggi l'esempio degli imprenditori catanesi che vogliono essere artefici e promotori di un riscatto sociale viene evocato a Milano, dopo l'ennesima indagine che palesa la profondità delle infiltrazioni della 'ndrangheta nell'economia del Nord. Anche se ieri mattina erano meno di un centinaio le persone che hanno marciato sotto il solleone per ricordare Paolo Borsellino, vogliamo pensare ad una casualità che oggi verrà smentita alla commemorazione ufficiale con il presidente Napolitano. A Palermo, in questi giorni, ci sono stati diversi momenti di ricordo della vita e dell'esempio di Borsellino. Una partecipazione rinnovata, con volti che non erano solo quelli di chi c'era anche negli ultimi anni. Nell'Aula Magna del Tribunale della città in tanti hanno voluto manifestare solidarietà a chi oggi continua a portare avanti l'impegno dello Stato nel contrasto al potere mafioso. Oltre venti associazioni che operano a Palermo e ne sono espressione si sono fatte carico di qualcosa che non è semplice commemorazione: è proprio ridare cuore, restituire vita dentro ogni cittadino all'impegno, alla fiducia, alla speranza che Paolo Borsellino ha insegnato. Le statue distrutte ieri l'altro da chi vuole ribadire la forza della mafia sono già state riparate da uno scultore che ha lavorato tutta notte. In un certo senso sarà sempre così, perché l'esempio di chi oggi ricordiamo è più resistente del gesso delle statue. C'è, ci appartiene, usiamolo ogni giorno nella nostra vita anche come antidoto contro qualsivoglia moto di rassegnazione: per essere interpreti di una cultura diversa e artefici, quale che sia il nostro ruolo, di una società migliore.


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