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Int. a H.S. Hamidi - «Ma le donne afghane devono contare di più»

• da Liberazione del 20 luglio 2010

di fra. marr.

 

Due giorni prima della conferenza di Kabul, le donne afgane hanno organizzato una conferenza alternativa. E' stata la loro occasione di sentirsi protagoniste, dato che, al grande evento internazionale di oggi, tanto per cambiare, la loro presenza sarà marginale. «Lo scopo di questo incontro», recita il comunicato finale letto da una delle delegate riunite domenica scorsa al Serena Hotel, al centro di Kabul, «è far sentire una voce collettiva delle donne afghane di tutte le province, escluse dalla grande conferenza di Kabul del 20 luglio». Rispetto alla conferenza del gennaio scorso a Londra, l'appuntamento di oggi a Kabul segna un passo avanti, almeno sotto l'aspetto formale. Allora, a parte parole di elogio per l'universo femminile del paese di cui tutto il mondo discuteva riunito nella capitale britannica, pronunciate da Hillary Clinton, le dirette interessate restarono convitate di pietra. Oggi nella sala delle grandi delegazioni siederà anche Palawa Hassan, fondatrice dell'Afghan Women's Network, come rappresentante della società civile afghana. I burqua in cui le afghane erano state rinchiuse dai talebani furono la bandiera dell'intervento di liberazione straniero del 200. All'incontro al femminile che ha preceduto la conferenza di oggi, molte delegate, arrivate da Kandahar a sud, come da Takhar al nord, hanno preso la parola proprio per lamentarsi della scarsa considerazione riservata alle donne, nell'organizzazione di una conferenza tanto importante da portare in Af. ghanistan i capi delle diplomazie dei più importanti paesi. Una delle figure principali del coordinamento nazionale delle donne afghane è Huria Samira Hamidi. Giovane, rubiconda, velo a fiori dai colori pastello della stessa fantasia del camicione calato su pantaloni da cui spuntano sandali argentati che mettono in mostra le unghie laccate di rosso rubino, come quelle delle mani, Samira, dirige l'Afghan Women's network, il gruppo cui appartiene la delegata ammessa oggi a parlare dalla stesso pulpito di Hillary Clinton. Le abbiamo chiesto cosa si aspetta dall'evento di oggi- «Ci aspettiamo che la conferenza di Kabul implementi gli impegni presi in altre occasioni sulla carta in quanto ai diritti delle donne. Si dovrebbe discutere del piano d'azione nazionale per le donne (National action plan for woman of Aghanistan) che è un preciso impegno del ministero per gli affari femminili. E' essenziale che le donne siano rappresentate negli organi decisionali. Consideriamo essenziale la loro rappresentanza politica».
Le donne afghane hanno paura della possibilità di accordi di parte dell'insurrezione talebana in vista di una pacificazione nazionale? «Si, se non si tengono fermi almeno tre punti: Primo, che i diritti umani delle donne non siano negoziabili, secondo, che le donne siano coinvolte in ogni processo decisionale legato al processo di pace, terzo che i progressi realizzati negli ultimi otto anni rispetto alla condizione in cui versavano le donne afghane nel periodo precedente non siano messi in discussione».
In questo senso la presenza delle truppe straniere vi rassicura?
«Non è una questione di sentirsi rassicurate da truppe straniere. Infatti su questo punto le opinioni nel paese sono molto contrastanti, ci sono molte donne che dicono che le truppe Nato se ne devono andare. A mio avviso al momento la questione sicurezza va vista dal punto di vista tecnico».
In che senso? «Al punto in cui siamo ora credo che un ritiro rapido delle forze internazionali possa essere rischioso. L'Afghanistan ancora non è pronto a gestire la sicurezza con le sole proprie forze. Il rischio del proseguimento del conflitto interno esiste. Le forze afgane non sono ben addestrate. Come possono garantire la sicurezza di un intero paese quando non ne sono capaci in pochi distretti? In ogni caso qui non si sa ancora che succede da domani. E i talebani hanno detto no all'ipotesi di accordo se restano in Afghanistan soldati stranieri. Ma questa è una sfida. In ogni caso un processo di riconciliazione serio non può prescindere dai diritti delle donne».


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