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Il premier e la questione morale: "Tutti angeli tranne quattro"

• da Corriere della Sera del 20 luglio 2010

di Marco Galluzzo

 

Non la pensa come Tremonti. Non si tratta di una cassetta di mele marce, ma di molto meno. Nel Pdl le mele bacate, se la metafora del ministro dell'Economia va tenuta buona, si possono contare sulla dita di una mano. Ed è una cosa naturale: in un raccolto non tutti i frutti riescono bene, alcuni è fisiologico che siano brutti, almeno nel contesto dei grandi numeri. Così pensa e dice Berlusconi. Non lo stesso concetto di Tremonti, il contrario di quello che sostiene Gianfranco Fini. In sintesi: una vera questione morale nel Pdl non esiste. Concetto ribadito a chiare lettere anche davanti agli studenti incontrati ieri, in mattinata: «Su cento persone, una, due, tre, anche quattro, che non siano angeli, si trovano sempre, in qualsiasi categoria, nei carabinieri come fra i sacerdoti, come in altri settori». Il passaggio del presidente del Consiglio è avvenuto quando l'argomento dell'intervento davanti agli studenti ha toccato la necessità di «una riorganizzazione» nella maggioranza. Argomento toccato in modo generico dal presidente del Consiglio, ma utile per introdurre poche parole a proposito dell'altro tema caldo di questi giorni: il coinvolgimento di esponenti dei Popolo della Libertà nelle inchieste giudiziarie delle ultime settimane. Su questo punto ieri mattina il Cavaliere è stato chiaro, non c'è nulla da «riorganizzare per quanto riguarda l'onestà» del partito. Forse ad alcune delle studentesse che lo ascoltavano mancavano alcuni spunti per capire integralmente il senso delle parole, di certo in platea il riferimento indiretto alle richieste del presidente della Camera e del gruppo dei finiani non è sfuggito. Anche un altro passaggio del discorso di Berlusconi aveva un contenuto politico spiccato. E anche questo riguardava il cofondatore del partito e la richiesta di una sorta di rifondazione del Pdl. Per il premier non se ne parla nemmeno, almeno non nel senso che chiedono Fini e i suoi parlamentari: «Se c'è qualcuno che non vuole restare nel partito è libero di andarsene, nessuno lo trattiene». Come dire che le critiche sono infondate e che si sentirebbe sollevato se Fini, di sua sponte, al posto di cercare di cambiare il Pdl togliesse il disturbo. Questi passaggi sono stati fatti dal premier in un incontro a porte chiuse, off limits per i giornalisti, nel contesto di una visita privata. Ma il fatto che siano stati pronunciati comunque davanti a una vasta platea, presente anche il rettore dell'università telematica «eCampus», Lanfranco Rosati (che ha elogiato la politica estera del presidente del Consiglio), significa che per il Cavaliere non sono materia da tenere riservata. Del resto tutti sanno che un'eventuale uscita dal Pdl di Gianfranco Fini non sarebbe per Berlusconi una perdita, così come è altrettanto noto che per il premier è un punto d'orgoglio, sbandierato da sempre, «quello di aver portato una nuova moralità in politica, quella di non rubare». Il capo del governo ha anche derubricato a «piccole incomprensioni» le fibrillazioni dentro la maggioranza. Tanto che in serata, durante il concerto sulle guglie del Duomo, sul tema intercettazioni ci ha tenuto a precisare che «ancora penso che ce la faremo». Ieri ha poi rivendicato i risultati della lotta al crimine organizzato («stiamo arrestando otto mafiosi al giorno, dei 30 latitanti più pericolosi d'Italia ne abbiamo presi 27»). E a proposito di mafia ha aggiunto che quella italiana «è solo al sesto o al settimo posto nel mondo per grado di pericolosità, eppure è tristemente prima in una classifica internazionale di notorietà», anche per colpa, ha aggiunto, dell'eccesso di fiction che il Paese ha prodotto, a cominciare dagli episodi della serie televisiva che si chiamava «La Piovra». Prima di lasciare il campus di Novedrate e gli edifici dell'università del fondatore del Cepu, Francesco Polidori, il Cavaliere ha trovato il tempo di scherzare con le forze dell'ordine presenti: «Ho saputo che volete scrivere Indice sulle vostre macchine da quando avete visto che all'estero c'è scritto Police». Lo ascoltavano dei carabinieri e non dei poliziotti, ma hanno riso lo stesso.


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