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In fuga dai Cie, l'estate calda da clandestini

• da Terra del 21 luglio 2010

di Dina Galano

 

Habib è salito sul tetto del Centro di identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi a Torino. Una protesta per evitare l'espulsione verso il suo Paese d'origine, la Tunisia; l'ultimo disperato tentativo di difendere il diritto alla libertà. Dopo quasi sei mesi di trattenimento in condizioni disperate, durante le quali gli sono stati somministrati medicinali scaduti e negate cure primarie come testimoniano gli stessi reclusi, lo aspetta soltanto il rimpatrio. Abbandono e reclusione forzata, per il solo fatto di essere "irregolari" per la legge italiana, intensificano l'insofferenza, scaldano gli animi e inducono molti ad atti di autolesionismo e scioperi della fame. Qualche volta si tenta la fuga, come è accaduto nel fine settimana nel Cie di via Corelli a Milano e in quello di Gradisca d'Isonzo. Ma, date le condizioni, sarebbe improprio definirle rivolte. Secondo fonti locali e la rete antirazzista che è in contatto con i reclusi, dopo l'insurrezione al Cie di Gradisca d'Isonzo i migranti avrebbero raccontato di essere stati rinchiusi nei cameroni, senza possibilità di movimento nelle aree comuni, con il cibo fatto passare attraverso le grate senza che la polizia apra nemmeno i cancelli. La denuncia delle condizioni di trattenimento degradante è notoria, convalidata da rapporti di istituzioni europee come il Comitato contro la tortura (Cpt) e di ong autorevoli come Medici senza frontiere. La diffusione di malattie come la scabbia, ma anche la situazione di sovraffollamento e di inidoneità delle strutture sono state più volte certificate. Al punto che perfino i governatori di quelle quattro Regioni che dovrebbero ospitare i nuovi centri voluti dal ministro Maroni sembrano volersi sottrarre alla decisione. Dopo il diniego della Giunta toscana, ieri anche il presidente delle Marche, Gian Mario Spacca, ha chiarito «l'indisponibilità a condividere la scelta di realizzare un Cie nel territorio». Spiegandone lucidamente i motivi, in una lettera inviata al ministero dell'Interno. «Il trattenimento dei cittadini immigrati in attesa di identificazione si è rivelato ai limiti della legalità, causa di dispersioni di famiglie e fenomeni di autolesionismo e suicidio», si ribadisce ricordando come la Regione si fosse espressa similmente già in passato. I centri, per Spacca, sono articolati in modo da «essere considerati lesivi dei diritti umani e fuorviante negli scopi che perseguono». Ciononostante il piano di contrasto alla "clandestinità" a firma leghista prevede la costruzione in tempi brevi di quattro istituti (oltre nei due luoghi citati, uno in Veneto e uno in Calabria) fino a realizzare almeno un centro in ogni territorio regionale. Mentre si moltiplicano i tentativi di fuga dai tredici attualmente esistenti, Medici senza frontiere avverte che, complice il caldo estivo, la situazione «rischia di rivelarsi esplosiva». Milano e Gradisca sono, insomma, ennesimi campanelli d'allarme. Ma i tentativi di evasione, poi, portano a processo con accuse di danneggiamento, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale che comportano pene che, nel massimo, possono arrivare a dieci anni di carcere. In questi casi, spiega l'avvocato Liliana Marcantonio che cura la difesa di nove migranti coinvolti nella rivolta del 3 giugno scorso al Cie di Ponte Galeria a Roma, «l'unica possibilità è far valere lo stato di necessità. Per le condizioni pietose in cui sono ristretti per la sola colpa di essere regolari, per la pesante pressione fisica e psicologica, confidiamo che sia riconosciuta dal giudice». L'udienza sui fatti di Ponte Galeria, prevista per domani, con ogni probabilità slitterà anche perché gli avvocati di parte non sanno nemmeno con esattezza dove siano stati trasferiti i loro assistiti. L'ennesima prova che «il diritto di difesa per i migranti è fortemente limitato», aggiunge Marcantonio auspicando «che siano aboliti perché la nostra Costituzione prevede il contrario».


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