Parliamoci chiaro, come sempre. Il referendum sulla cosiddetta "acqua pubblica" non solo scaturisce da pura demagogia ma, a ben vedere, va contro gli interessi dei cittadino ed è opera di pretestuosa disinformazione o, per meglio dire, di informazione distorta. Lo affermiamo nel pieno rispetto di chi in buona fede ha sottoscritto l'ingannevole quesito mirante ad avversare l'applicazione del decreto Ronchi. Bisogna pur affermare che slogan efficaci dal punto di vista comunicativo come "contro la privatizzazione dell'acqua", "acqua bene comune" etc. sono del tutto fuor di luogo. Cosa si vuole, infatti, in realtà ? La nazionalizzazione dei servizi pubblici, una statalizzazione obbligatoria che riconsegnerebbe il nostro paese ad un anacronistico sistema con costi aggiuntivi a quelli che già , come cittadini, siamo costretti a pagare. Non abbiamo proprio alcun bisogno di sprechi o di ulteriori squilibri nel pubblico bilancio. Non c'è alcuna legge che intenda in Italia privatizzare l'acqua. Proprio perché l'acqua è un bene prezioso, non è possibile consentire che ogni anno si disperda il 30% delle risorse captate. Gli enti locali possono emettere bandi di gara o provare ad attivare controlli doverosi sulla fornitura ma non sono assolutamente in grado di gestire un servizio di tal genere. Nel caso in cui il referendum fosse accettato e vincessero i "sì" non solo si verrebbe a colpire la liberalizzazione del mercato ma i comuni, in primo luogo, si troverebbero nella difficile situazione di non riuscire ad assicurare un servizio efficiente nelle sue varie fasi, con una serie di conseguenze che ricadrebbero su ognuno di noi come, ad esempio, una probabile "addizionale idrica". È ora, quindi, che al populismo d'occasione e alle retoriche tribunizie si sostituiscano finalmente serietà e responsabilità .
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