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Il caro dottor Fofò e la nuova P3

• da Il Foglio del 21 luglio 2010

Non è per provocare, ma se un accenno di P3 ha da esserci, più che l'eolico in Sardegna, un business non proprio colossale solo tentato e mai autorizzato, poté la nomina del caro dottor Fofò a capo della Corte d'appello di Milano, un business pienamente realizzato e con una componente trasversale, lobbistica, mica male. Infatti, oltre ai congiurati pitreisti hanno votato per questo Fofò, al secolo Alfonso Marra, anche Nicola Mancino, garante istituzionale del Csm, amico e corregionale del modesto attivista giudiziario irpino immaginato da Ezio Mauro e da altri a capo della nuova loggia gelliana, nonché altri eminenti togati e laici di sinistra. Degli scandali il diavolo fa le pentole che li contengono ma non i coperchi. Avvenne quando si scoprì che Di Pietro era si un uomo d'onore, ma non esente, come lui stesso ammise, da cadute di stile, sulla cui gravità non giudicano i tribunali, propensi ad assolvere un eroe della corporazione, ma la morale pubblica media, anche quella di noi immoralisti, detta common sense. Così ora tutto è cucito bene bene per quel pasticcione di Denis Verdini, titolare di un lavoro ingrato per conto del suo boss e di sodalizi sui quali sarebbe stato opportuno fare un po' di filtro; tutto perfettamente acconcio alla ulteriore mostrificazione di Marcello Dell'Utri, che nella cerchia degli affetti e dei collaboratori più o meno eroici è stato sempre attento a sbagliare un po' più degli altri, ma non per questo si presenta a chi davvero lo conosca come un mafioso o un pitreista; tutto rispondente all'identikit dell'utilizzatore finale, che Iddio lo protegga se deve aspettarsi giustizia e protezione, come gli altri statisti in Europa, dalle raccomandazioni della banda Fofò in Corte costituzionale. Eppoì, diciamolo, c'è una così bella consonanza tra la cadenza e l'ordito degli ultimi scandali e il tentativo politico di distruggere il partito di maggioranza e la sua leadership, sono così ammirevoli certi lavoretti (bisogna solo saperli valutare con occhio critico e disincantato). Comunque: se c'è scandalo, lo scandalo è nel modo dì nomina dei magistrati, nel funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, e il pitreismo è l'ideologia che guida la casta togata nelle sue scelte di fondo su persone, funzioni, incarichi, arbitrati, cordate, correnti, e raccomandazioni & ricatti vari. Il presidente Napolitano dovrebbe probabilmente riflettere su questo, e agire con la tempra politica che a volte gli si deve riconoscere. Non basta demandare a un Csm di fresca nomina, in cui non ci siano più i sodali di Fofò, ulteriori osservazioni e idee di bonifica, Bisogna che il nuovo Csm sia un Csm nuovo. Bisogna che il Quirinale, titolare del potere di ultima istanza sui magistrati, si convinca della necessità di una riforma della giustizia che attenui i trasversalismi lobbistici evidenti nei meccanismi di selezione della classe dirigente togata, e ne parli con il Guardasigilli; bisogna che l'autogoverno cosiddetto, e soprattutto l'autodisciplina dei giudici e pm, si realizzino con metodi meno autoreferenziali e castali di quelli oggi in vigore; bisogna, e qui Giorgio Napolitano può essere decisivo, che si disinneschi l'ennesima offensiva belluina, forcaiola, priva di scrupoli contro la politica, che non è identificabile con gli abusi di alcuni politici in combutta con pezzi ingenti di società civile un poco meno intercettata; e bisogna che si dica la verità: il lobbismo cosiddetto pitreista per le nomine in procure e tribunali e il potere abusivo d'influenza sulla Cassazione e la Corte costituzionale esercitati da certi marrazzoni di scarso rilievo non è che il segno di un metodo avvelentato di funzionamento della magistratura e del suo autogoverno. Per non parlare della situazione penosa delle garanzie individuali in un paese con il sistema carcerario che conosciamo e che la spietata inchiesta dei radicali mette ogni giorno all'attenzione di chi voglia leggere i fatti per quello che sono. Si può naturalmente decidere di non credere a me, a noi del Foglio, a questi minima immoralia che noi siamo, quando si parla di riformare la giustizia e piantarla con le sostitutive e iperpoliticizzate chiacchiere sulla P3. Basta allora leggersi l'articolo di ieri sulla Stampa firmato dall'ex vicepresidente del Csm Carlo Federico Grosso, uno stimato uomo di legge che conobbi negli anni Settanta come consigliere indipendente eletto nelle liste comuniste per il Consiglio comunale di Torino, e che sa ragionare con la sua testa sulla base dei fatti. Grosso spiega, con un piccolo eccesso di rispettosa distanza dall'oggetto di cui si occupa, che "a Nicola Mancino bisogna credere fino a prova contraria", quando dice di avere votato Fofò con le migliori intenzioni. Grosso poi sottolinea con malizia contegnosa e seriosa che Mancino vice presidente dei Csm "ricevette Lombardi", l'attivista pitreista di radici irpine che pranzò a casa Verdini con Dell'Utri e Flavio Carboni, "ascoltò le sue richieste", e soprattutto le esaudì, pur scegliendo in perfetta buona coscienza, votando cioè come molti altri di coloro che furono "destinatari dei tentativi di interferenza" e optarono per Marra presidente della Corte d'appello di Milano. Grosso, scapolata la punta delle tempeste, dice poi cose condivisibili anche da noi amici dei delinquenti, afferma che il Csm è il luogo del lobbismo corporativo trasversale, delle interferenze politiche e professionali e di cordata o corrente le più varie, e sollecita una radicale riforma. Quello è il problema, riformare la giustizia, non fare cagnara sulla P3 o esercitare un qualche potere di interdizione sul futuro delegato di Napolitano a capo della magistratura che si autogoverna. (A proposito, il politico democristiano Michele Vietti può avere dei difetti, come candidato, ma una pagina di idee sulla giustizia da riformare a questo giornale la consegnò. La sua nomina avrebbe un carattere apertamente e nitidamente politico; magari è sbagliata, ma si sa di che si tratta. Invece, caro professor Grosso, un professore neutrale per vocazione, come per lei dovrebbe essere il nuovo capo del Csm, uno che magari venga fuori dal frigorifero delle alte reputazioni ma prive di riscontri impegnativi sul terreno delle idee e dei progetti, è il classico oggetto sconosciuto, il candidato di cui si sa niente e che può essere trasversalmente votato da molte lobby vincenti). Sia chiaro. Non penso che esista una P3. Esiste solo una logica molto consumata del potere, che riaffiora ogni volta che c'è, come ora, crisi di leadership e di sistema. Non penso che a capo dell'inesistente P3 ci sia Nicola Mancino, che ogni tanto viene tirato in ballo, ora per la trattativa tra lo stato e la mafia, ora perla nomina di Fofò. Ma a forza di coglionare il pubblico con gli ultimi ritrovati parodistici della propaganda politica perbenista, finisce che gli scandali diventano paradossi, e i paradossi schiaffi alle istituzioni o tappi contro la possibilità di fare riforme utili.



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