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A chi fa paura il piano prolife di Olimpia Tarzia sostenuto da quattro piccoli indiani del Pd

• da Il Foglio del 22 luglio 2010

di Valentina Fizzotti

Sono in quattro, sono maschi e per il momento hanno vita dura. Attorno alla loro firma di consiglieri del Partito democratico della regione Lazio su un progetto di legge di riforma dei consultori sono state raccolte firme, scritte lettere "indignate" ed "esterrefatte", convocate riunioni. Perché il testo che hanno siglato - opera di Olimpia Tarzia, - ora Lista Polverini e già Lista Pazza - è una riforma in odore prolife e a sinistra pare proprio che sia proibito il solo toccare l'argomento. La legge nazionale sui consultori è vecchia di 35 anni, giusto uno in più di quella regionale. E dal 1978 della 194 si ricorda soltanto la seconda parte, “l'interruzione volontaria di gravidanzaâ€, piuttosto di ciò che viene prima, la "tutela sociale della maternità". Così Olimpia Tarzia ha deciso che era ora di mettere mano alla materia, con l'idea di ridare ai consultori la funzione di sostegno alla famiglia che avevano in principio, prima di diventare distributori automatici di preservativi o seminari del sesso protetto per ragazzini delle medie. E soprattutto prima di trasformarsi in dispenser automatici dei certificati che servono come via libera ad abortire. La proposta di legge rimette al centro la vita, chiede la tutela della famiglia e del bambino non ancora nato. E permetterebbe alle associazioni di entrare nel mondo dei consultori per offrire servizi in tutti i campi. Primo la prevenzione dell'aborto, che non significa riempire le ragazze di contraccettivi ma piuttosto cercare di capire come si può evitarlo a gravidanza già iniziata. "Della funzione originaria dei consultori legata alla famiglia non c'è più traccia - dice Tarzia - e qui non parliamo della famiglia del Mulino Bianco. Il consultorio deve per esempio aiutare i genitori a recuperare il loro mandato educativo, mentre quello che accade adesso di educativo non ha niente". D'altro canto anche Livia Turco, quando era ministro della Salute, raccomandò il ''potenziamento" dei consultori come servizi "di prevenzione del fenomeno abortivo". E a sua volta Rosi Bindi disse che "il consultorio deve diventare un servizio percepito come una struttura amica" che ha il compito di "promozione e tutela della maternità". Così quando Tarzia è andata in cerca di consensi per la sua proposta ci ha provato con tutte le parti politiche. "Bisogna sempre creare un punto di incontro. Ero convinta che la tutela della maternità e della famiglia fosse di interesse universale, visto che anche a sinistra sono convinti che l'aborto sia sempre un dramma, ma così non è". I primi a defilarsi sono stati tre consiglieri dell'Italia dei valori, che hanno ritirato le loro firme prima che il disegno di legge fosse depositato. Capofila del loro partito è Giulia Rodano, ex Pci e Ulivo diventata dipietrista, strenua sostenitrice del diritto all'aborto e sponsor rumoroso della pillola Ru486. Raggiunti al telefono i consiglieri dell'Idv hanno parlato di "errore materiale": hanno firmato quel testo in attesa che ne arrivasse uno migliore e si sono sbagliati. Ma tra i firmatari, oltre agli esponenti del centrodestra, ci sono anche quei quattro del Pd, di provenienza cattolico democratica. Sono Bruno Astorre, vicepresidente del Consiglio regionale, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Mario Mei. Alla loro firma è seguita una lettera a Pier Luigi Bersani, Rosi Bindi, Vittoria Franco e Luigi Berlinguer (e a tutti i parlamentari e senatori democratici del Lazio), siglata dalle femministe di sinistra che fanno capo alla Consulta femminile e da alcuni esponenti maschi dei Pd. Fra loro ci sono anche le scrittrici Lidia Ravera e Dacia Maraini. Tutti si sono detti "esterrefatti" alla lettura del disegno di legge che propone una riforma in "spregio alle leggi nazionali e ai diritti delle donne all'autodeterminazione, alla sessualità consapevole e alla procreazione responsabile". I promotori dell'appello hanno "invitato" i quattro consiglieri regionali a ravvedersi perché "prima di firmare dovrebbero mettersi in sintonia con i valori e i programmi del loro partito e delle donne del Pd". Perché il problema non è soltanto che nel Lazio, nonostante la debacle elettorale, la linea vincente a sinistra sia quella dettata da Emma Bonino e non esista spazio su questi temi per la parte cattolica. Piuttosto quello che fa imbestialire i difensori del "codice etico del Pd è il fatto che i quattro siano maschi e si permettano di fare di, testa loro nel campo (sacro o minato a seconda dei punti di vista) di aborto e consultori. E quindi "la mancanza di donne elette nella lista del Pd non può e non deve consentire ai consiglieri regionali uomini di violare i diritti delle donne che loro dovrebbero rappresentare". La proposta diventa così "un attacco fortissimo alla legge 194", è colpevole di non menzionare nemmeno la Ru486 e "insiste strumentalmente sulla prevenzione dell'aborto proponendo 1'istituzione di un assegno a favore delle donne che rinunciano all'aborto fino al quinto anno di età del bambino". Che non si azzardino a ripensarci dopo essere passate da un consultorio, le vendute. Settimana scorsa i promotori dell'appello si sono anche trovati alla Casa internazionale delle donne, in via della Lungara a Roma, sede importante del femminismo italiano, per decidere il da farsi. Sul manifesto Ida Dominijanni, storica femminista, ha scritto che la riforma proposta da Tarzia è un esempio di "federalismo eversivo", un "inginocchiamento ai diktat vaticani", "attacco al profilo costituzionale della famiglia, rovesciamento della 194, snaturamento e privatizzazione del servizio con ingresso massiccio delle associazioni prolife, supervisione etica col timbro cattolico". In pratica tutto il male assoluto in un colpo solo. Ai quattro dissidenti dà di "solerti" ("tutti uomini e tutti cattolici, ma se Dio vuole pare che qualcuno ci stia ripensando", scrive), alla Tarzia di "leader auto investita di un 'Nuovo Femminismo' reazionario". A Dominijanni non piace che si parli di famiglia come istituzione votata al servizio della vita, né tantomeno che il concepito sia considerato a tutti gli effetti un membro della famiglia ("aggiungi un posto a tavola, anche se per nove mesi resta vacante"). Secondo lei chi vorrà abortire si troverà davanti a una "via crucis" attraverso nuove "strutture moralizzatrici" che non agiscono più con criteri di appropriatezza ed efficienza ma culturali e ideologici (certo a rilasciare in automatico il certificato per l'interruzione di gravidanza si faceva prima), "Eppure io ci parlo sempre con le femministe - ribatte Tarzia - sono andata anche all'Aied (Associazione italiana per l'educazione demografica), nella tana dei lupo, e mi hanno applaudita". Certo, c'è femminista e femminista. "La verità è che c'è una parte ideologica e lontana dalla realtà nel mondo vetero femminista, che si arroga il diritto di parlare per tutte le donne". Questa proposta di legge parte dal riconoscimento del valore primario sociale della famiglia e dalla tutela del concepito. Ai consultori si chiede di essere più efficaci, con nuove competenze. Anche gli operatori privati, associazioni e volontariato, devono svolgere in quelle stanze un servizio pubblico, più meno come accade con le scuole paritarie. O i consultori dovranno accogliere, ascoltare, proporre soluzioni, aiuti economici compresi. Perché anche se nessuno è mai riuscito a spiegare per davvero perché le donne abortiscono, l'aspetto finanziario ha il suo peso. A leggere una ricerca della Consulta regionale dei consultori risulta che la maggior parte delle donne interrompe una gravidanza per motivi economici, o perché non ha un lavoro. A quello segue la mancanza di sostegno, soprattutto da parte dei maschi che fuggono davanti a un figlio in arrivo. Sono gli stessi motivi che spingono da anni Paola Bonzi, responsabile del Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli di Milano, a pagare i pannolini e il latte in polvere, a offrire alloggi e insegnare a cucire. oltre a coccolare e ascoltare le future mamme. Perché alle donne che arrivano alla Mangiagalli per abortire (anche dalla provincia, nel terrore di incappare fra i corridoi nella vicina di casa pettegola), oltre a una spalla servono soldi, biberon, lavoro. In questa direzione va il progetto Nasko della giunta Formigoni, promesso in campagna elettorale e approvato nelle prime settimane dì governo, che stanzia cinque milioni per aiutare le mamme che rinunciano ad abortire. Nel Lazio questo progetto di legge è stato depositato ma le commissioni regionali non sono ancora state forniate e dovrà attendere la fine dell'estate per essere discusso, Intanto ai radicali risulta che fra i consultori "ci sia preoccupazione" per una proposta che definiscono tolemaica. Emma Bonino ha scritto a Repubblica raccontando che "le donne del Pd sono insorte" davanti a un progetto che ha come vero referente l'associazionismo cattolico e che trasforma il Lazio in una "regione etica" in cui le donne non sono libere di scegliere. Vogliono davvero questo, ha chiesto, quei quattro firmatari del Pd? In fondo il programma del centrosinistra alle regionali era "marcatamente laico". Tarzia ha scritto una replica al quotidiano, ma la sua risposta non è mai stata pubblicata. I quattro firmatari preferiscono non parlare - Emma Bonino, dicono, "si è già pronunciata in sede Pd" e per ora non c'è altro da dire. Ma che problema hanno, a sinistra, a parlare sul serio di aborto?



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