I detenuti sono ormai stabilmente venticinquemila di più dei posti regolamentari. Viceversa, gli agenti sono ottomila in meno rispetto alla pianta organica, peraltro concepita in tempi e situazioni di "normalità ". Tradotto in pratica, il sovraffollamento significa stare per oltre venti ore al giorno in sei, in otto o in dodici in celle sporche e degradate concepite per due, quattro o sei detenuti. Celle che d'estate diventano dei veri e propri forni, dove la gente rischia di impazzire. Siamo arrivati al punto che in alcune prigioni non bastano più neanche i letti a castello che arrivano a un palmo dal soffitto e i direttori sono costretti a tenere un "registro dei materassi" per stabilire a chi tocca dormire sul pavimento e a usare anche i corridoi delle sezioni e gli spazi dedicati alla "socialità ", alla scuola e ai corsi di formazione per dare posti-letto a persone della più varia umanità e pericolosità . Nella promiscuità più scriteriata, ci sono detenuti condannati assieme a detenuti in attesa di giudizio, colpevoli in via definitiva e innocenti fino a prova contraria, prossimi al fine pena o coi "fine pena: mai". C'è chi è malato e non viene curato, c'è chi è straniero e non viene nemmeno considerato, c'è chi non ce la fa più e si toglie la vita. In base a una calcolo fatto da "Ristretti Orizzonti", negli ultimi dieci anni nelle carceri italiane sono morti 1.702 detenuti, di cui 593 per suicidio. Il 2009 aveva fatto registrare 72 suicidi in carcere, il numero più alto della storia italiana, ma anche i primi sei mesi e mezzo di quest'anno sono trascorsi all'insegna della medesima "emergenza": 32 detenuti si sono impiccati e altri 5 si sono suicidati con il gas delle bombolette, mentre 67 detenuti sono morti per malattia, asfissia da gas o per cause ancora da accertare. Non c'è nulla di "naturale" in queste morti, che sono solo frutto di malagiustizia e malaprigione italiane, ragion per cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo continua a condannare l'Italia per denegata giustizia e violazione dell'articolo 3 della "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti. Nell'Italia di oggi vige quindi la tortura e anche un tipo di pena di morte che non è comminata "di diritto" dai tribunali ma è praticata "di fatto" nelle carceri. Non solo perché l'esecuzione della pena può accadere che si risolva in "esecuzione" tout court tramite suicidio o presunto tale, vero e proprio omicidio o cosiddetta malattia, ma anche perché in Italia vige ancora il "fine pena: mai" dei detenuti in 41 bis condannati a un ergastolo senza via di uscita e il "carcere a tempo indeterminato", l'ergastolo bianco" che rischia di essere il destino degli "internati" sottoposti alle misure di sicurezza. Il tutto avviene nell'indifferenza più assoluta della politica, della maggioranza e della opposizione parlamentare, Radicali esclusi. Se il nostro fosse uno Stato di Diritto, si cercherebbero soluzioni all'insegna della legalità e del rispetto dei principi costituzionali. Per far fronte al sovraffollamento nelle carceri, basterebbe ad esempio applicare la legge Gozzini sulle misure alternative alla detenzione, una legge vilipesa, criminalizzata e ormai caduta in disuso nel nostro Paese, nonostante le statistiche dicano che le misure alternative sono lo strumento più efficace contro la recidiva e per una maggiore sicurezza sociale. Invece no, e in molte carceri i detenuti continuano a essere - è il caso di dire - "ristretti" in spazi di tre metri quadrati a testa e gli agenti costretti a un lavoro massacrante che nulla ha a che vedere con la rieducazione. Nella classifica nazionale del "sovraffollamento", termine tecnico e impersonale che non rende minimamente la proporzione di quella che è una vera e propria catastrofe umanitaria, la Puglia figura al secondo posto. Alla fine di giugno, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.601, oltre 2.000 rispetto alla "capienza regolamentare" e 600 in più anche di quella "tollerabile"... tollerabile per chi non si sa: forse per il ministero, non certo per gli agenti di polizia penitenziaria e tantomeno per i detenuti, come quei tre detenuti del carcere di Lecce che si sono tolti la vita negli ultimi mesi! La Regione Puglia non merita questo infelice primato, anche perché nella scorsa legislatura il Presidente Vendola ha voluto che venisse istituito con una legge ad hoc il Garante Regionale dei Diritti delle persone private della libertà . La Puglia è stata una delle poche regioni italiane a dotarsi di questo strumento, ma sono passati quattro anni e alla legge scritta non hanno fatto seguito gli atti conseguenti: il decreto attuativo della legge e la nomina del Garante. Ci appelliamo al Presidente Vendola perché voglia marcare subito il suo secondo mandato con il completamento di un'opera che è di estrema attualità , necessità e urgenza. Secondo la nostra impostazione, l'ufficio del garante sarebbe, uno strumento democratico di conoscenza, di controllo e di proposta relativo alla condizione non solo dei detenuti-detenuti, ma anche dei semi-detenuti che alla fin fine sono gli "agenti di custodia", i direttori e gli altri componenti la comunità penitenziaria, vittime anche loro della stessa catastrofe umanitaria e della ordinaria illegalità , carceraria e non, che vige nel nostro Paese.
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Sergio D'Elia (Segretario di Nessuno tocchi Caino), Rita Bernardini (Deputata radicale presentatrice della proposta di legge istitutiva del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà ), Giuseppe Napoli (Segretario dell'Associazione radicale "Diritto e Libertà '), Mario Staderini (Segretario di Radicali Italiani), Maurizio Turco, (Deputato radicale, presidente vicario del Senato del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito), Elisabetta Zamparutti (Deputata Radicale, tesoriera di Nessuno tocchi Caino)