Caro direttore, quando certe misure restrittive si dimostrano palesemente inadeguate, fallimentari, non è uno scandalo adoperarsi per predisporre necessari, razionali aggiustamenti. Le politiche antropologiche del nostro governo andrebbero profondamente riviste, perché non riescono a tenere il passo degli eventi, perché non soddisfano le esigenze del popolo migrante. In questa nuova era della comunicazione nel villaggio globale, le genti si spostano liberamente, ordinariamente. E, pertanto, una forzatura, un arbitrio, legalizzare un reato di clandestinità , che di fatto innalza steccati e discrimina. Non è legittimo sottoscrivere accordi bilaterali con paesi dittatoriali, che non riconoscono le convenzioni internazionali sui rifugiati. E inconcepibile la politica dei respingimenti in mare, perché c'è il rischio fondato di rimandare indietro migranti, che fuggono dalla nera miseria, dalle persecuzioni. Un centinaio degli eritrei, che hanno ultimamente subito violenze nei campi di detenzione libici, che avevano il sacrosanto diritto di accedere allo status di politici, erano stati malaccortamente espulsi dall'Italia l'anno scorso. Ora da noi i Centri di identificazione ed espulsione sono in rivolta, in subbuglio. E saggio minacciare rimpatri di massa? Nel dicembre scorso, Emma Bonino e i suoi compagni radicali, in visita in alcuni Cei della penisola, denunciarono una situazione di totale irregolarità : veri e propri centri di reclusione, sporchi, con servizi igienici carenti. Ci chiediamo: che criterio di ragionevolezza è stato seguito nel "pacchetto sicurezza", aumentando il tempo massimo di reclusione da 60 a 180 giorni? Quanto sono opportune e lungimiranti le dichiarazioni del ministro Maroni, che, invece di prevedere il disciplinato smantellamento dei Cie, ha promesso la costruzione di quattro nuovi centri entro la fine dell'anno?