Secondo un elementare principio liberale, un imprenditore deve poter fare le scelte che ritiene più opportune per il successo della sua azienda, a cominciare dal produrre, nel rispetto delle leggi, dove e come gli conviene di più. Se alla Fiat conviene di più produrre in Serbia che non in Italia, la causa sta nello sgangherato sistema italiano di relazioni industriali che partiti e sindacati per primi non sembrano minimamente intenzionati a riformare, e che la Fiat stessa, assieme alla Confindustria, ha a sua volta contribuito per decenni a edificare e a conservare, in cambio di aiuti e contributi statali.
Per uscire da questa situazione non c'è bisogno di nuovi ''tavoli'', secondo il consueto schema italiano, concertativo e corporativo, riproposto dal ministro Sacconi, ma di riforme: si inizi ad esempio con lo stabilire, come proposto dal senatore Pietro Ichino (il progetto, nonostante abbia raccolto prestigiosi sostegni bipartisan, è bloccato in Senato da oltre un anno), che il contratto aziendale approvato a maggioranza dai lavoratori con referendum possa derogare al contratto nazionale: siano i lavoratori a decidere.
L'auspicio è che anche il PD comprenda che non c'è più spazio per incertezze ed equilibrismi: senza il coraggio di chiare scelte liberali e riformatrici, rischia di lasciare campo libero alla demagogia ultraconservatrice (e contraria agli interessi dei lavoratori) della Fiom, che ha già trovato in Nichi Vendola il suo nuovo leader.